A cura del prof. Giovanni Maga, direttore dell’Istituto di Genetica Molecolare del Consiglio Nazionale delle Ricerche (Cnr-Igm)
Roma, 3 marzo 2020 – Nell’ultimo bollettino dell’Organizzazione Mondiale della Sanità – OMS del 1 marzo si delinea il quadro epidemiologico dell’infezione da SARS-CoV2, riassumendo: l’incidenza di forme gravi è il 14% e di casi critici il 5%. Questi i dati dello studio epidemiologico cinese su oltre 44.000 casi.
Alle ore 18.00 del 1 marzo in Italia c’erano 1.577 positivi, di cui circa il 50% (798) a casa (presumibilmente senza sintomi o con sintomi molto lievi). 639 (circa il 40%) sono ricoverati, non sono note però l’incidenza delle polmoniti e la loro gravità, ma sembra che la maggioranza abbia sintomi non preoccupanti.
Complessivamente quindi sembra che ci sia un accordo con l’80% di forme lievi/moderate secondo l’OMS (assumendo che la maggioranza dei ricoverati non sia grave). I casi critici (terapia intensiva) in Italia sono 140 (8.8%), più alto, rispetto al 5% di casi critici riportati dallo studio cinese.
Possiamo fare tre ipotesi:
- i numeri dei casi positivi sono inferiori alla reale diffusione del virus (per cui le percentuali potrebbero essere sovrastimate);
- in questa seconda ondata il virus circolando ha passato il setaccio della selezione naturale che ha favorito la diffusione di un ceppo più ‘abile’ nel colonizzare il nuovo ospite. Solo l’analisi genetica degli isolati autoctoni presenti adesso in confronto con quelli circolanti all’inizio dell’epidemia potrà dirci se ci sono stati cambiamenti genetici sostanziali;
- la differente struttura genetica della popolazione europea rispetto a quella asiatica riflette una diversa risposta al virus. Questa è molto più difficile da verificare e richiederà studi accurati sulla risposta immunitaria.
Al di là di queste tre ipotesi si confermano due punti importanti:
- la generale benignità del decorso dell’infezione per la maggioranza delle persone, soprattutto quelle giovani;
- la necessità di continuare nelle misure di contenimento per abbattere il più possibile il numero dei casi.
Se anche il rischio di forme critiche o potenzialmente letali è basso, non possiamo permetterci di non fare tutto il possibile per proteggere chi a rischio è. Inoltre la criticità maggiore di questo virus non è la letalità, che rimane sostanzialmente concentrata sulle persone più fragili, ma l’incidenza delle forme che richiedono assistenza ospedaliera.
Serviranno ancora almeno due-tre settimane per avere un’idea precisa sull’efficacia delle misure e sull’andamento dell’epidemia. Dobbiamo collaborare tutti, senza panico ingiustificato ma con senso di responsabilità.