Roma, 4 maggio 2022 – Solo nel 2021, secondo i dati forniti dall’Associazione socio sanitaria territoriale lariana (Asst), sono stati ben 283 i dipendenti che hanno abbandonato volontariamente la professione. Di questi oltre un centinaio, “hanno passato il confine” e hanno scelto in questi mesi di diventare frontalieri, per lavorare in pianta stabile nella sanità elvetica.
Negli ultimi due anni oltre 150 persone, tra i dipendenti della sanità pubblica, nelle province di Como e Lecco, si sono licenziate e si sono impiegate nella Confederazione elvetica. Nel settore sociosanitario del Ticino, che occupa in totale quasi 16mila dipendenti, 4300 sono i frontalieri. Di questi il 70% si compone di italiani (per la maggior parte lombardi).
Si tratta di numeri reali, a dir poco allarmanti, che evidenziano, da un lato, come la carenza infermieristica nella Regione Lombardia, da strutturale quale era, è arrivata a toccare l’apice con la pandemia, sfiorando, da sola, oggi, le 10mila unità. Ma sappiamo bene che oggi, non solo in Lombardia, quello degli infermieri italiani, nel nostro Paese, è un quadro davvero desolante.
E mentre anche nelle altre nazioni come la Svizzera, l’improvvisa e virulenta emergenza sanitaria ha trasformato acque chete in acque agitate e torbide, da noi, con un mare già in tempesta prima del virus, sono arrivati cavalloni alti 10 metri che hanno letteralmente travolto imbarcazioni già in grande difficoltà.
“Ma se da un lato – esordisce Antonio De Palma, Presidente Nazionale del Nursing Up – non ci sorprende quanto accade in un territorio come la Lombardia, che ha pagato più di tutti, sin dall’inizio, lo scotto dell’emergenza sanitaria, viene naturale chiedersi quali siano, ancora oggi, le differenze così abissali che spingono tanti operatori sanitari a lasciare volontariamente le nostre strutture pubbliche e private, per decidere di mettersi in viaggio ogni giorno verso la vicina Svizzera, che a questo punto, nonostante le sue problematiche, almeno paragonata all’Italia, rappresenta una vera e propria isola felice”.
“Essere frontaliero, nonostante lo stress del viaggio quotidiano – continua De Palma – permette ai nostri infermieri di evitare di subire il pesante costo della vita quotidiana in Svizzera. Ma in fondo, come negare che le problematiche finiscono esattamente qui, dal momento che lo stipendio di un infermiere professionista, con pochi anni di esperienza alle spalle, in un ospedale del Ticino, si aggira intorno a poco meno di 5.200 franchi svizzeri lordi, ossia poco più di 5.060 euro lordi (a questi dobbiamo togliere le tasse che in Svizzera non sono cosa da poco)”.
“Se un infermiere italiano oggi si trasferisse in pianta stabile in Svizzera, gli rimarrebbero ogni mese per vivere circa 3.500 euro puliti, dovendo pagare anche un alloggio (che non costa poco), il che tutto sommato, rispetto ai 1.400/1.500 euro netti italiani di stipendio medio (ma con un affitto ancora da pagare ogni mese), giustificherebbe già ampiamente le ragioni di un cambiamento di vita. Figuriamoci, come nel caso degli infermieri comaschi e lecchesi, se si tratta di viaggiare ed evitare quindi tutti i costi di un percorso di vita quotidiano in terra elvetica”.
“Non dimentichiamo che l’infermiere frontaliero, al di là delle spese di viaggio, acquisiti almeno 15 anni di anzianità di servizio, può raggiungere oltre 9.000 franchi svizzeri (8760 euro), da cui vanno sempre detratte le tasse. Non che siano mancate criticità, durante la Pandemia, anche all’interno del sistema elvetico, come testimonia la recente approvazione alle urne, lo scorso 28 novembre 2021, dell’iniziativa popolare “cure infermieristiche forti”, che aveva proprio lo specifico obiettivo di migliorare le condizioni della professione. Anche gli infermieri svizzeri, per essere chiari, durante l’emergenza, hanno pagato stress, turni massacranti e carenza di personale. Ma da noi, lo sappiamo bene, l’inferno quotidiano ha toccato ben altri livelli di gravità”.
“Insomma – continua De Palma – solo stipendi davvero dignitosi, che oggi sono ancora una triste chimera, in un sistema con una carenza di 80-85 mila operatori sanitari, consentirebbero di arginare la fuga, più che giustificata, in atto da anni verso paesi come Germania, Inghilterra, Lussemburgo, la stessa Svizzera”.
“Ricordiamo al Presidente del Comitato di Settore Regioni-Sanità, dott. Caparini – chiosa De Palma – l’impegno assunto durante i colloqui con la nostra delegazione qualche settimana fa, e quindi ogni sostegno per l’adozione di un atto di indirizzo che consenta l’impiego delle risorse aggiuntive stanziate dalla legge, per una reale valorizzazione degli infermieri e delle professioni sanitarie. Non serve in tal senso ricordare che, senza tale atto ormai urgente, non si potrà procedere con la definitiva chiusura delle trattative in corso”.