Un team internazionale con ricercatori dell’Università di Palermo e dell’INGV ha indagato il vulcanismo islandese per acquisire informazioni sul meccanismo di risalita dei magmi profondi
Roma, 16 settembre 2022 – Conoscere le dinamiche di risalita dei magmi nelle porzioni più profonde dei sistemi di alimentazioni dei vulcani islandesi, per comprendere i processi pre- e sin-eruttivi e per il monitoraggio futuro delle attività vulcaniche.
Questo lo scopo dello studio “Rapid shifting of a deep magmatic source at Fagradalsfjall volcano, Iceland” appena pubblicato sulla rivista Nature. Alla ricerca, incentrata sullo studio delle lave e dei gas emessi dall’eruzione vulcanica islandese del Fagradalsfjall nel 2021, hanno partecipato il prof. Alessandro Aiuppa e il dott. Marcello Bitetto del Dipartimento di Scienze della Terra e del Mare dell’Università degli Studi di Palermo (UniPA), e il dott. Gaetano Giudice dell’Osservatorio Etneo dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV-OE).
Il vulcano Fagradalsfjall si trova sulla penisola di Reykjanes, a circa 40 chilometri da Reykjavík, in Islanda. Negli ultimi 3000 anni l’attività vulcanica nella penisola di Reykjanes è stata caratterizzata da periodi eruttivi di circa 200–300 anni, solitamente separati da 800-1.000 anni di quiescenza. L’eruzione del 2021, iniziata il 19 marzo dopo circa 800 anni di riposo, è stata preceduta da settimane di elevata attività sismica e deformazione del suolo, ed è stata caratterizzata da una iniziale attività effusiva che, in seguito, si è evoluta in un’intensa attività di fontane di lava.
La ricerca, guidata da Sæmundur Halldórsson dell’Institute of Earth Sciences della University of Iceland, ha esaminato la lava e i gas vulcanici emessi durante i primi 50 giorni dell’eruzione. Queste analisi hanno rivelato come, in maniera insolita per il vulcanismo islandese, i magmi coinvolti nell’eruzione siano stati direttamente drenati da eccezionali profondità, in corrispondenza della discontinuità (cd. Moho) che segna il passaggio fra crosta terrestre e mantello.
Gli scienziati hanno notato che la composizione chimica delle lave eruttate hanno mostrato una rapida evoluzione temporale. Durante le fasi iniziali dell’eruzione, l’applicazione delle tecniche geo-barometriche indicava che la lava proveniva prevalentemente da un’area localizzata all’interfaccia tra crosta e mantello. Tuttavia, nelle settimane successive, la composizione dei magmi è cambiata indicando un’origine dei magmi a profondità superiori.
Questi risultati dimostrano che la zona di stoccaggio del magma vicino alla Moho è un ambiente estremamente dinamico, ove magmi con caratteristiche differenti si miscelano su scale temporali incredibilmente brevi (da giorni a settimane), e più rapide di quanto precedentemente ritenuto.
(photo credits: Melissa A. Pfeffer, IMO)