Dal 72° congresso SIP SINP monito per indagare su crisi convulsive nei primi mesi di vita. Possono indicare una malattia genetica sottostimata, dovuta a deficit di una vitamina. Per la società scientifica di Neurologia Pediatrica vanno aggiornati i protocolli terapeutici e trattati i bimbi con la sostanza di cui sono carenti (la piridossina) anche dopo il primo mese di vita
Firenze, 18 novembre 2016 – Si chiamano epilessie ‘piridossino-dipendenti’ e il sintomo principale è una crisi convulsiva che si ripete in modo prolungato e resistente ai farmaci anticonvulsivanti tradizionali. È determinata dalla mancanza di vitamina B6, chiamata anche piridossina.
“Quando questa sostanza è insufficiente compare la crisi convulsiva che talvolta non viene correttamente diagnosticata – spiega il prof. Raffaele Falsaperla, presidente della Società Italiana di Neurologia Pediatrica (SINP) – È perciò fondamentale, specie per i pediatri che operano nelle strutture di Pronto Soccorso, effettuare una diagnosi precisa per poter somministrare al piccolo paziente la vitamina B6, che in poche ore fa cessare le crisi convulsive. Questa forma di epilessia è una malattia abbastanza rara: colpisce qualche migliaio di bambini in tutta Italia, soprattutto neonati. La difficoltà di diagnosi per lo specialista compare quando la patologia si manifesta in età successiva a quella neonatale. Durante l’allattamento, per esempio può non venire riconosciuta”.
L’epilessia piridossino dipendente spesso è sotto-stimata quando non si si manifesta alla nascita, avvertono gli esperti. Il suo esordio è variabile: nel 70% dei casi compare in età neonatale o può anche più tardi, nei primi mesi di vita del bambino.
“Purtroppo ad oggi la diagnosi non è sempre tempestiva – continua il prof. Falsaperla – Se la crisi non si presenta nel primissimo periodo di vita può essere misconosciuta. Ecco perché è importante sensibilizzare i pediatri nel riconoscere la patologia”.
Negli attuali protocolli il trattamento con la piridossina è prevista solo nel primo mese di vita. È necessario dunque modificare e aggiornare queste ‘linee guida’ diagnostico-terapeutiche attualmente in vigore e prevedere anche per una fascia d’età superiore questo tipo di cura. È importante coinvolgere i pediatri che lavorano nei reparti di pronto soccorso nella diagnosi precoce e nella gestione terapeutica. L’unico trattamento efficace, dunque, è la somministrazione di piridossina per via orale, intramuscolo o endovenosa che fornisce una risposta terapeutica immediata, oltre a consentire la diagnosi genetica.
“Le cause della malattia sono soprattutto genetiche ed è importantissimo aumentarne la conoscenza tra i pediatri – conclude il prof. Falsaperla – perché l’insufficienza di piridossina oltre alle epilessie può portare nel bambino anche ritardi motori importanti. Va inoltre considerato che questo tipo di epilessia non risponde alla terapia farmacologica tradizionale”.
fonte: ufficio stampa