L’agente infettivo, il virus HCV fa parte della famiglia dei Flaviviridae, genere Hepacivirus.
Sono stati identificati sei diversi genotipi e oltre 90 sub-tipi. Ancora non è chiaro se ci siano differenze nel decorso clinico della malattia per i diversi genotipi, ma certamente vi sono differenze nella risposta dei diversi genotipi alle terapie antivirali.
L’infezione acuta da HCV è assai spesso asintomatica ed anitterica (in oltre i 2/3 dei casi) e quindi difficilmente diagnosticabile. I sintomi, quando presenti, sono caratterizzati da dolori muscolari, nausea, vomito, febbre, dolori addominali ed ittero.
La caratteristica della asintomaticità della malattia fa sì che un gran numero di cittadini scoprono solo casualmente di essere infetti da epatite C; purtroppo la diagnosi per alcuni di essi risulta essere troppo grave per poter intervenire con le attuali terapie farmacologiche, o comunque le stesse risultano meno efficaci in soggetti ove la malattia è persistente da lungo tempo: da ciò ne consegue l’enorme importanza di diagnosticare la presenza del virus quanto più precocemente possibile.
L’epatite C interessa nel mondo circa 200 milioni di persone, mentre in Italia gli anticorpi anti HCV sono presenti nel 3,2% della popolazione generale, corrispondente a circa 1.800.000 persone infette.
Poiché la patologia da HCV cronicizza in oltre l’80% dei casi e dal 20% al 40% dei pazienti vanno incontro nel tempo a cirrosi epatica, si comprende l’entità del problema che è ulteriormente aggravato dalla considerazione della possibile evoluzione della cirrosi in epatocarcinoma, evenienza che è stata stimata nella misura di circa il 3-4% anno.
Il periodo di incubazione va da 2 settimane a 6 mesi, ma per lo più varia nell’ambito di 6-9 settimane; la trasmissione avviene principalmente per via parenterale apparente ed non apparente. Sono stati documentati anche casi di contagio per via sessuale, ma questa via sembra essere molto meno efficiente che per l’HBV. L’infezione si può trasmettere per via verticale da madre a figlio in meno del 5% dei casi. Il controllo delle donazioni di sangue, attraverso il test per la ricerca degli anticorpi anti-HCV, ha notevolmente ridotto il rischio d’infezione in seguito a trasfusioni di sangue ed emoderivati.
A tutt’oggi non esiste un vaccino per l’epatite C e l’uso di immunoglobuline non si è mostrato efficace. Le uniche misure realmente efficaci sono rappresentate, dalla osservanza delle norme igieniche generali, dalla sterilizzazione degli strumenti usati per gli interventi chirurgici e per i trattamenti estetici, nell’uso di materiali monouso, nella protezione dei rapporti sessuali a rischio.
Un vaccino efficace nei confronti dell’infezione da HCV non è disponibile. I problemi relativi alla sua messa a punto sono molti ma in particolare la grande variabilità genomica, la natura quasi specie dell’HCV, la difficoltà di individuare, se esiste, la risposta anticorpale protettiva.
Per quanto riguarda la terapia, l’obiettivo è la eradicazione dell’infezione con lo scopo di evitare la progressione dell’epatite cronica in cirrosi e/o prevenire le complicanze della cirrosi epatica. Attualmente i farmaci utilizzati sono gli Interferoni Peghilati, che sono delle proteine che modificano la risposta del sistema immunitario aiutandolo a combattere le infezioni e la Ribavirina.
Nell’ambito del genotipo 1 la probabilità di guarire è maggiore nei pazienti con malattia più giovane e bassa carica virale rispetto ai pazienti con malattia epatica più avanzata ed alta carica virale e la terapia ha la durata di 12 mesi.
I genotipi 2 e 3, più “facili” da trattare, vengono curati con solo 24 settimane di terapia, con maggiore probabilità di guarigione (70-80% dei casi nel genotipo 3 e oltre 90% nel genotipo 2). Attualmente vengono utilizzati il Peg-Interferone alfa-2b alla dose di 1.5 ug/kg/settimana oppure il Peg-Interferone alfa-2a 180 ug/settimana in dose fissa: la somministrazione viene effettuata sottocute, una volta a settimana, generalmente sul deltoide o sulla coscia con una “penna” o con una siringa pre-riempita di semplice utilizzo che il paziente si può autosomministrare. La Ribavirina è un inibitore nucleosidico che impedisce la replicazione del virus ed è disponibile in forma di capsule da assumere quotidianamente e viene sempre somministrato in associazione con l’IFN e mai in monoterapia.
Grazie a questi farmaci, oggi dall’epatite C si può guarire (e per guarigione intendiamo l’eliminazione completa e duratura del virus).