Roma, 5 novembre 2019 – Eliminare l’Epatite C dal nostro Paese è l’obiettivo fissato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità entro il 2030. Esistono terapie in grado di eradicare il virus in poche settimane, efficaci nel 98% dei casi, senza effetti collaterali. Ad oggi, sono stati affrontati con successo 196mila casi, ma i pazienti ancora da trattare, secondo le ultime stime, sarebbero almeno 200mila, di cui molti ancora da diagnosticare.
Specialisti e pazienti sono attualmente focalizzati sull’emersione del “fisiologico” sommerso e sull’identificazione dei più idonei e funzionali modelli di screening, fondamentali anche per la definizione degli adeguati budget specifici da parte del SSN.
A circa due mesi dalla Conferenza Stampa di presentazione del Position Paper congiunto delle Società Scientifiche e dell’Associazione pazienti, si tiene martedì 5 novembre a Roma, presso l’Auditorium “Cosimo Piccinno” del Ministero della Salute, il convegno “Alleanza contro l’Epatite: “Uniti, insieme: pazienti, clinici e istituzioni, per la concreta eradicazione del virus”. L’evento, organizzato da MA Provider, è promosso da AISF (Associazione Italiana per lo Studio del Fegato) e SIMIT (Società Italiana di Malattie Infettive e Tropicali), con il patrocinio di EpaC onlus.
L’accesso agli screening e alle terapie deve essere più semplice e immediato; le difficoltà ancora presenti per ottenere i trattamenti vanno superate. “Possiamo agire su diversi punti – evidenzia il dott. Salvatore Petta, Segretario AISF – Un primo risultato è stato raggiunto proprio nelle ultime settimane, grazie anche alla richiesta fatta da AISF ad AIFA nel dicembre 2018: non è infatti più obbligatorio il ‘Fibroscan’ come esame estensivo per la valutazione della fibrosi epatica. Questo provvedimento rende possibile l’utilizzo, in alternativa al Fibroscan, di strumenti non invasivi semplici e facilmente disponibili per valutare la severità della malattia epatica laddove vi siano ostacoli socio-assistenziali che limitano l’accesso al Fibroscan. Ciò favorisce un più facile accesso alle terapie a bacini ad alta prevalenza di infezione da HCV quali SerD e carceri, che rappresentano realtà critiche che non sempre hanno a disposizione questo strumento diagnostico. Ciononostante, non vi è un Piano Nazionale per l’eliminazione delle infezioni da epatiti virali ancora funzionante e dotato di fondi autonomi; non c’è un PDTA nazionale; manca un sistema di rete efficiente che faciliti l’accesso ai farmaci da parte dei pazienti. Un’organizzazione di Rete, in particolare, è fondamentale per mettere in contatto i centri abilitati all’erogazione dei trattamenti e quelli ancora non autorizzati, e per creare un network attivo con i Medici di Medicina Generale per i quali sarebbe anche ipotizzabile un uso diretto di test salivari, per poter effettuare loro stessi test di screening ai pazienti a rischio. Auspichiamo anche di poter trasformare le farmacie in centri di informazione: la maggior parte dei soggetti con un’infezione da HCV sono over 60 e sono questi i più assidui frequentatori delle farmacie. Serve poi nelle carceri e nei SerD personale che sia direttamente in grado di gestire all’interno delle strutture stesse lo screening e le fasi diagnostica e terapeutica. Infine, è necessario un Piano Nazionale dotato di fondi dedicati, che sostengano non solo l’acquisto dei farmaci ma anche le strategie di screening e la formazione di personale adeguato”.
L’emersione del “sommerso” continua a rappresentare una sfida fondamentale per poter raggiungere l’eradicazione dell’infezione nel nostro Paese. “Un percorso ineludibile, anche se non il solo, passa per programmi di eliminazione del virus in popolazioni speciali, quelle che possono essere indicate come popolazioni chiave, quelle in cui è più probabile che si verifichino nuovi contagi, sia al loro interno, sia nella popolazione generale – sottolinea il prof. Massimo Galli, Presidente SIMIT – Si tratta in particolare di persone con una storia di tossicodipendenza, molte delle quali sono ancora in contatto con i SerD o sono in carcere. Garantire gli screening nei SerD e in carcere è fondamentale. Attualmente il conseguimento di questo risultato è ancora lontano. Va inoltre ricordato che in Italia vivono oltre 5 milioni di immigrati, i cui paesi d’origine sono più o meno colpiti dall’epatite C. Dal numero di stranieri residenti coinvolti nelle terapie per HCV, risulta evidente una ridotta attenzione al problema. Meno del 4% dei primi 10.000 arruolati nello studio PITER risulta infatti composto da stranieri. Più che una popolazione chiave, si tratta quindi di una popolazione negletta, dimenticarsi della quale può avere un elevato costo in termini di sanità pubblica. È quindi opportuno favorirne l’accesso agli screening e al trattamento. L’eliminazione del virus in gruppi definiti è un risultato perseguibile. Lo dimostra il successo nelle persone con confezione HIV/HCV. Abbiamo modo di stimare che in oltre il 95% dei casi seguiti presso i Centri di Malattie Infettive il trattamento con DAA sia stato attuato e abbia portato alla eradicazione individuale del virus. Ma il punto fondamentale per l’emersione del sommerso di HCV non riguarda una popolazione speciale, a meno che si vogliano considerare tali i cittadini con più di 55 anni. La maggioranza di chi non sa di convivere con HCV – così come i molti che più o meno vagamente sanno di esserne portatori, ma che non sono mai venuti ai centri a farsi curare – è infatti tra loro. Che i pazienti già diagnosticati, ma non ancora trattati, che sono ancora numerosi, vengano indirizzati ai Centri per il trattamento sembra un concetto ovvio: nella pratica, purtroppo, ancora molti di questi pazienti mancano all’appello. Bisogna fare di più perché l’informazione li raggiunga”.