Prof. Pietro Lampertico, Professore Ordinario di Gastroenterologia, Università di Milano: “Uno studio retrospettivo ha confermato i dati di eccellente sicurezza e tollerabilità di un regime terapeutico di sole 8 settimane nei pazienti mai trattati con cirrosi compensata HCV-correlata. Un altro studio ha dimostrato un’eccellente risposta virologica anche nei diversi sottogruppi di soggetti fragili”
Roma, 26 novembre 2020 – La disponibilità dei nuovi farmaci antivirali ad azione diretta (DAA), che permettono di eradicare il virus dell’Epatite C in maniera definitiva, in tempi rapidi e senza effetti collaterali, ha reso possibile il raggiungimento dell’eliminazione di questa patologia entro il 2030 come prefissato dall’OMS. Tuttavia, la pandemia di Covid-19 ha rallentato notevolmente i trattamenti, inserendosi in un contesto già complicato dalla difficoltà di identificare i pazienti affetti dal virus, spesso non consapevoli, il cosiddetto “sommerso”.
Questi temi sono al centro del progetto MOON di AbbVie: una serie di webinar in questi mesi autunnali per mettere a confronto infettivologi, epatologi ed internisti, affinché facciano rete per trovare efficaci strategie. Un’occasione per mettere a confronto specialisti di diverse branche e di diverse aree geografiche.
“Le nuove terapie per l’Epatite C hanno avuto un impatto rivoluzionario – spiega il prof. Giovanni Di Perri, Professore Ordinario di Malattie Infettive all’Università di Torino – Si è passati da terapie che avevano un’aspettativa di efficacia al di sotto del 50% con numerose controindicazioni ed effetti collaterali, con tempi che oscillavano tra i 6 e i 12 mesi, a una situazione in cui possiamo gestire il soggetto trattato in 8-12 settimane, in cui possiamo togliere il virus definitivamente dall’organismo umano. Ciò permette non solo di far venir meno la malattia epatica, ma di apportare anche un beneficio più ampio”.
“Questa è infatti una malattia multi-sistemica, con conseguenze su diversi organi, con impatto, ad esempio, sul sistema cardiovascolare e sull’omeostasi glicemica, stante il confermato rapporto di associazione fra infezione cronica da HCV e diabete. Intervenire in modo netto permette dunque di curare più di una malattia e di prevenirne altre, con beneficio sia sul singolo soggetto che sull’intera comunità. Eliminare un’infezione da una popolazione è un obiettivo ambizioso, ma abbiamo uno strumento terapeutico che lo rende raggiungibile. Ci sono già esempi virtuosi (Australia, Irlanda, Olanda) di come l’uso sistematico della terapia anti-HCV stia portando a un impoverimento del serbatoio delle nuove infezioni”.
“Per quanto concerne la recente interruzione dovuta alla pandemia, dobbiamo sottolineare anche l’opportunità nata da questa crisi: la necessità di test per individuare il Sars-Cov-2 permette di andare anche a sondare la prevalenza di HCV in categorie di popolazione che per noi sarebbero state difficilmente raggiungibili: RSA, scuole, corpi militari, tutti contesti della nostra società che ci possono dare una visuale inedita”.
I risultati recenti: bene 8 settimane e validità anche per pazienti fragili
Da recenti studi internazionali emergono importanti conferme per i trattamenti con G/P. Il primo aspetto riguarda la durata di 8 settimane del trattamento dei pazienti con cirrosi compensata HCV-correlata attestata dallo studio registrativo Expedition-8. “Per poter confermare l’efficacia dello studio Expedition-8 è stato condotto uno studio retrospettivo su circa 200 pazienti con cirrosi compensata appartenenti a coorti diverse (europee, americane e globali) – afferma il prof. Pietro Lampertico, Professore Ordinario di Gastroenterologia, Università di Milano – Per la prima volta al mondo, questo studio retrospettivo di pratica clinica, appena pubblicato, ha confermato i dati di eccellente sicurezza e tollerabilità di un regime terapeutico di sole 8 settimane nei pazienti mai trattati con cirrosi compensata HCV-correlata. La forza di questi dati è tale che le recenti linee guida europee consigliano 8 settimane di terapia con G/P nei pazienti naive con cirrosi compensata”.
Un secondo studio internazionale ha invece certificato l’efficacia di questo trattamento anche nei pazienti fragili. “Questa ricerca ha coinvolto circa duemila pazienti trattati con G/P, di cui un quota significativa rientrava nelle popolazioni cosiddette “fragili”: pazienti con patologie psichiatriche, soggetti con abuso di alcol o farmaci, soggetti disoccupati o con basso tasso di scolarità – spiega il prof. Lampertico – Lo studio ha dimostrato un’eccellente risposta virologica completa non solo nel gruppo nel suo complesso, ma anche nei diversi sottogruppi di soggetti fragili. Abbiamo anche combinato queste situazioni di fragilità e l’efficacia è rimasta in oltre il 98% dei casi. La risposta virologica è risultata indipendente dal numero di farmaci presi”.
La situazione in Lombardia
La Lombardia si conferma come particolarmente efficiente, con centri di riferimento senza liste di attesa, che permettono a qualunque paziente di essere trattato nel giro di 1 o 2 settimane e di guarire in 8-12 settimane.
“Il problema non è trattare il paziente con l’epatite C, ma è identificare quel 30-40% di pazienti affetti da epatite C senza saperlo – evidenzia il prof. Lampertico – In questo senso devono andare tutti gli sforzi. In Lombardia, ma anche in altre regioni, c’è un’intensa attività per quanto riguarda le carceri, dove si riscontra un’elevata prevalenza di Epatite C: è un’occasione unica, essendo questi soggetti fisicamente confinati in un luogo. Altre iniziative riguardano i SerD, altro serbatoio dove è possibile intervenire con test&treat, diagnosi con test rapidi e trattamento immediato. Poi ci sono progetti sul territorio volti a identificare altri pazienti: vari ospedali, per esempio, testano per l’Epatite C quei pazienti che fanno gli esami del sangue per altri motivi; infine, i test per il Covid-19 rappresentano una straordinaria opportunità per screening abbinati”.
Il progetto Red Carpet
Tra le diverse strategie varate in questi ultimi anni, spicca il Progetto di informazione, prevenzione e screening denominato “Red Carpet”, basato sugli screening al SerD dell’Asst Fatebenefratelli Sacco nell’ambito del Dipartimento di Salute Mentale e varato a luglio 2019. Questa iniziativa è stata concepita in collaborazione tra i Servizi territoriali di diagnosi e cura delle dipendenze e l’UOC Malattie infettive 1 afferenti alla ASST Fatebenefratelli-Sacco di Milano.
“Sussiste un’oggettiva difficoltà nell’identificazione dei soggetti HCV positivi – sottolinea il prof. Giuliano Rizzardini, Direttore di Dipartimento Malattie Infettive, Ospedale Luigi Sacco – Dobbiamo dunque fare uno sforzo su quelle “popolazioni speciali” come i tossicodipendenti, tra cui prevalenza in termini di positività all’HCV si stima intorno a valori di circa l’80%. L’obiettivo primario del Progetto “Red Carpet” è quello di diagnosticare, informare e indirizzare i soggetti con problemi di tossicodipendenza, afferenti ai Servizi territoriali della nostra struttura verso una corretta gestione della patologia, orientandoli in un percorso clinico adeguato e di qualità che eviti inutili dispersioni di tempo e riduca il rischio di contagio in questa popolazione ad alto rischio e ad alta prevalenza”.
“Il Progetto prevede che i soggetti con problemi di tossicodipendenza vengano sottoposti a screening mediante l’utilizzo di test rapidi salivari e, successivamente, di test XPERT HCV Fingerstick, saggio in vitro basato sulla reazione a catena della polimerasi in tempo reale dopo retrotrascrizione (RT-PCR). Questo test permette il rilevamento e la quantificazione dell’RNA del virus dell’epatite C in sangue intero umano venoso e capillare prelevato mediante puntura del dito con aggiunta di EDTA e fornisce i risultati in soli 58 minuti”.
“I soggetti risultati positivi vengono inviati agli ambulatori della UOC Malattie infettive 1 e indirizzati su un percorso facilitato (“Red Carpet”) per il completamento dell’iter diagnostico (genotipizzazione, fibroscan, ecografia, ecc.) e il successivo trattamento con DAAs. I pazienti “più difficili” vengono invece avviati al trattamento DOT presso il SERD di appartenenza”, conclude Rizzardini.