Roma, 18 settembre 2019 – Prima uscita pubblica per il Vice Ministro alla Salute Pierpaolo Sileri in occasione della conferenza stampa “Alleanza contro l’Epatite 2019”, promossa da AISF – Associazione Italiana per lo Studio del Fegato e da SIMIT – Società Italiana di Malattie Infettive e Tropicali, con il patrocinio di EpaC onlus.
“Noi medici conosciamo non solo i costi delle terapie, dei ricoveri e delle degenze, ma anche i costi indiretti: quanto spende una famiglia per quel malato? Molteplici voci entrano nel computo dell’azienda Italia. Il tempo perso nel lavoro da parte del paziente, i sacrifici dei familiari e tanto altro. Per questo è importante migliorare gli screening e aumentare i trattamenti “ ha affermato il Vice Ministro.
Nell’esprimere l’impegno delle istituzioni per una maggiore prevenzione e un impegno crescente nell’eliminazione del virus ha parlato nella nuova veste governativa, ma senza dimenticare il suo passato, presente e futuro di medico chirurgo addominale. “Il mio mestiere di chirurgo rappresenta la mia passione, la mia attività principale. Per questo, una volta terminato il mio alto compito istituzionale, tornerò a operare i miei pazienti. Mi manca molto il non poter esercitare la professione” ha annunciato Sileri.
Dal ‘sommerso’ al passaggio alle regioni, le spine attuali di politica sanitaria
“Se i costi della terapia passassero dal fondo per i farmaci innovativi a completo carico delle Regioni, le stesse si troverebbero a sostenere ulteriori costi diretti, senza che si sia ancora investito a sufficienza per l’emersione del sommerso, eccezion fatta per le società scientifiche che hanno intrapreso campagne di comunicazione – sottolinea il prof. Massimo Galli, Presidente SIMIT – Bisogna rammentare che il grosso del sommerso risiede nelle fasce d’età al di sopra dei 50 anni, nelle quali si è fino ad oggi fatto veramente molto poco”.
“In Italia, nonostante l’ottimo lavoro finora svolto, si stima che vi siano ancora circa 200mila pazienti con infezione da HCV che debbano essere individuati e trattati, e l’emersione del sommerso continua quindi a rappresentare una sfida fondamentale per poter mirare a raggiungere l’eradicazione dell’infezione nel nostro paese – evidenzia il dott. Salvatore Petta, Segretario AISF – Tuttavia, oltre alle classiche “sacche” di infezione presenti presso i SerD e gli istituti di detenzione è estremamente importante focalizzare la nostra attenzione sul bacino dei pazienti seguiti presso i Medici di Medicina Generale. Tale percorso virtuoso ovviamente per essere efficiente necessita di una corretta informazione/formazione dei MMG e dell’organizzazione di un sistema di rete che permetta una facile collocazione dei pazienti individuati ai centri autorizzati al trattamento”.
La ‘presunta’ equivalenza dei farmaci preoccupa gli specialisti
“Ci si potrebbe infatti dover confrontare con una possibile equivalenza dei farmaci in corso di valutazione da AIFA – sottolinea il prof. Massimo Galli – La disponibilità in Italia di tre diversi trattamenti farmacologici ha consentito in questi anni di scegliere e utilizzare lo schema terapeutico più adatto a ciascun paziente. L’eventuale affermazione di equivalenza tra le combinazioni farmacologiche pangenotipiche disponibili toglierebbe ai medici la discrezionalità necessaria per attuare la scelta terapeutica migliore per ciascun paziente. Va inoltre ricordato che i farmaci in questione non prevedono la stessa durata di trattamento, sono ampiamente diversi da un punto di vista chimico e per meccanismi d’azione e presentano profili di sicurezza differenti. Poterli usare tutti ha dato grandi risultati. Lasciateci quindi curare in scienza e coscienza senza inutili limitazioni”.
“In merito all’eventuale equivalenza terapeutica proposta per i due regimi antivirali pangenotipici disponibili per il trattamento dell’infezione da HCV, bisogna prestare molta cautela – conclude il dott. Salvatore Petta – Tali regimi contengono principi attivi appartenenti a classi terapeutiche differenti, hanno profili di sicurezza diversi in alcune sottopopolazioni di pazienti, e vengono somministrati con schemi terapeutici che differiscono per durata in funzione del genotipo virale di HCV e della severità della malattia di fegato. Pertanto, mentre fino ad ora la possibilità di sfruttare al meglio le opportunità offerte dai differenti farmaci ha permesso in ‘real life’ di ottenere risultati eccellenti ovvero di guarire l’infezione da HCV in più del 95% dei pazienti trattati, l’applicazione in tale contesto clinico del principio di equivalenza, qualora approvata da AIFA, potrebbe inficiare quanto di eccellente fatto finora con potenziale ricaduta negativa sia dal punto di vista clinico che farmaco-economico”.