Nelle passate settimane ha avuto grande risalto mediatico la sentenza emessa il 16 febbraio 2024 con la quale la Corte Suprema dell’Alabama ha attribuito lo status di “esseri umani” agli embrioni congelati prodotti attraverso fecondazione in vitro. Per la cronaca il caso traeva spunto dall’accidentale distruzione del materiale embrionale conservato in una sala criogenica, appartenente a tre diverse coppie di genitori.
Le possibili conseguenze tanto in ambito penale che civile sono subito risultate chiare a tutti gli operatori del settore come dimostra la temporanea sospensione della detta pratica prontamente comunicata dall’Università di Birmingham.
La pronuncia, pur avendo una portata limitata al solo Paese nel quale è stata emessa, ha però riacceso il dibattito a livello globale sulla tutela da riservare agli embrioni, ivi compresi i c.d. sovrannumerari, ovvero quelli residuati ai cicli di fecondazione artificiale che rimarranno inutilizzati.
Il tema ha visto approcci legislativi molti diversi tanto a livello europeo che extraeuropeo, ma qual è la situazione in Italia?
L’analisi del punto rinvia al travagliato iter parlamentare della ormai nota legge 40/2004 (Norme in materia di procreazione medicalmente assistita), ma soprattutto all’opera di lenta demolizione, anche dei suoi stessi principi cardine, operata dalla Corte Costituzionale negli anni successivi alla sua entrata in vigore.
In linea con il carattere “restrittivo” che permeava l’intero disposto normativo, la tutela dell’embrione veniva messa dal legislatore in posizione di assoluta preminenza mostrando un evidente sbilanciamento di interessi a scapito della donna, alla quale, solo per fare un esempio, forse quello più eclatante, una volta attuata la fecondazione dell’ovocita, non era concesso alcun diritto di ripensamento, tanto da arrivare a prevedere l’intervento di impianto in forma coatta anche contro la volontà della coppia.
Ma al di là di previsioni oggettivamente impraticabili, la tutela dell’embrione si attuava anche attraverso altre disposizioni quali quelle volte a vietare qualsiasi indagine genetica preimpianto, ad imporre al medico di produrre non più di tre embrioni e di procedere al loro contemporaneo trasferimento nonché a vietare la crioconservazione degli embrioni residuati a cicli di PMA.
Divieti che, in evidente contrasto con il sistema costituzionale, sono venuti meno grazie all’opera di ribilanciamento operato dalla Consulta in favore del diritto alla salute della donna e, più in generale, della coppia nel suo complesso.
E proprio in tale senso si muove la sentenza 151/2009, alla quale si deve non solo l’abolizione dell’obbligo di contemporaneo impianto dei tre embrioni ma anche, quale inevitabile conseguenza, la deroga al divieto di crioconservare, quale pratica divenuta indispensabile proprio a salvaguardare quelli rimasti inutilizzati.
La Corte, sulla scorta della sua pregressa giurisprudenza, ribadisce in tale modo l’assoluta rilevanza della tutela della vita e della salute fisica e psichica della futura mamma rispetto a qualsiasi altro interesse, ivi compreso quello delle entità embrionarie.
Principio questo sul quale si fonda anche l’altro storico intervento operato dalla Corte Costituzionale con la sentenza 162 del 2014, attraverso la quale cade il tanto discusso divieto di fecondazione eterologa. Anche in questo caso, infatti, proprio partendo da un concetto di salute a largo spettro, in grado cioè di ricomprendere anche la sanità psicofisica, tale preclusione viene considerata dalla Consulta un vero e proprio vulnus al benessere della coppia laddove impossibilitata a formare una famiglia con figli attraverso il ricorso alla PMA di tipo eterologo (per una analisi più approfondita sul tema si rinvia a “Il rischio clinico nella procreazione medicalmente assistita (PMA)”, Herald Editore, Roma, 2023).
Nonostante gli interventi della Corte Costituzionale la tutela dell’embrione nella legge 40 del 2004, pur lontana da quella delineata dalla Corte Suprema dell’Alabama, rimane forte e pregnante lasciando aperta una questione certamente non meno rilevante di quelle sin qui affrontate: il destino degli embrioni sovrannumerari.
L’ampio dibattito che si è aperto sul tema ha visto emergere molte istanze e tra queste, in particolare, quelle volte a prevederne un utilizzo a fini meramente scientifici, nell’ottica di un progresso a vantaggio della collettività, ovvero ad introdurre la c.d. embriodonazione in favore di coppie infertili.
Ciò che appare certo, a distanza ormai di vent’anni dalla promulgazione della legge, è l’improcrastinabilità di un vuoto legislativo che lascia sulle spalle dei centri di medicina procreativa, in modo del tutto improprio, l’onere e la responsabilità, sempre più gravosa, della quotidiana gestione del materiale embrionale crioconservato.
Di seguito la sentenza della Suprema Corte dell’Alabama: