I bonus non fanno politiche e la sanità pubblica, e quindi la salute degli italiani, non è nell’agenda del Governo, che preferisce investire nella sanità privata i soldi dei libretti postali dei cittadini
Roma, 21 giugno 2016 – Il voto di domenica – commenta il Segretario Nazionale Anaao Assomed, Costantino Troise – ha confermato e amplificato il trend manifestatosi il 5 giugno. Nelle città ha votato la crisi, evidenziando la forbice tra la realtà dei suoi effetti e lo story telling governativo. La crescente polarizzazione delle ineguaglianze tra due Italie, due sanità, due città ha assunto una chiara connotazione geografica, sociale, anagrafica. Ed elettorale.
Non c’è bisogno dell’indovino per sapere come hanno votato oltre tre milioni di dipendenti pubblici, stretti tra leggi punitive ed un pregiudizio ideologico, duro a morire in tutti i governi, in attesa di un rinnovo contrattuale da 7 anni, ai quali è stata promessa, solo dopo una sentenza della Corte costituzionale, una paghetta.
Chissà come avranno votato i 650.000 dipendenti del Servizio Sanitario Nazionale, il cui lavoro tiene in piedi quello che resta della sanità pubblica, con un livello di gravosità e rischiosità, anche patrimoniale, che stride con livelli retributivi inchiodati al 2006.
E come avranno votato i precari della sanità, per i quali nessun cuore governativo versa lacrime, considerati geneticamente differenti da quelli della scuola e non degni della stessa attenzione. E le migliaia di giovani medici costretti ad emigrare per le inefficienze di un sistema formativo che il Governo si guarda bene dal mettere in discussione.
E i milioni di cittadini, che la deriva del SSN, stretto tra definanziamento e tagli, rende abitanti un universo della sanità negata che tende a dilatarsi per chi ha difficoltà economiche o non riesce, comunque, a pagare di tasca propria nemmeno un ticket, che se ne infischia della deflazione crescendo di anno in anno. E gli abitanti del meridione, figli di un dio minore, gratificati di piani di rientro e commissariamenti funzionali alla politica, nuovi limiti all’accesso ai servizi, peggiori risultati di salute.
E chissà che peso hanno avuto, nel ribaltone verificatosi in alcuni importanti Comuni, discutibili riforme della sanità improvvisate in alcune Regioni. A pagare, si sa, anche il prezzo della diminuzione del perimetro della tutela pubblica nei servizi sanitari e sociali, sono i più deboli, gli anziani e i millenials, che, però, si prendono una rivincita nelle urne.
La verità è che i bonus non fanno politiche e la sanità pubblica, e quindi la salute degli italiani, non è nell’agenda del Governo, che preferisce investire nella sanità privata i soldi dei libretti postali dei cittadini.
I partiti al Governo hanno perso la salute, e forse non solo quella. E la prognosi rimane riservata. Chiunque voglia sul serio cambiare verso non può cominciare se non da qui. Investire nei servizi pubblici, a partire dalla sanità, è una priorità non solo etica, sociale ed economica ma, ora, anche politica.
fonte: ufficio stampa