Collaborazione multidisciplinare tra umanisti e neuroscienziati della scuola IMT Alti Studi Lucca e Università di Pisa
Lucca, 23 dicembre 2017 – Cosa nel nostro cervello rende possibile parlare e comprendere chi ci sta di fronte, funzioni cruciali nell’evoluzione e basilari per la vita di relazione? Nel 1861 il neurologo francese Pierre-Paul Broca scoprì che una piccola regione nella parte anteriore del cervello gestisce l’espressione di suoni, parole, frasi, pensieri.
Basta una lesione di quest’area, non più grande del polpastrello del pollice, perché i nostri pensieri rimangano imprigionati dentro di noi. Pochi anni dopo Karl Wernicke scoprì che se una piccola area della corteccia situata più o meno all’altezza dell’orecchio subisce un danno, non riusciamo più a capire chi ci sta parlando. Dunque due piccole distinte aree del nostro cervello controllano come parliamo e come comprendiamo.
Ma come mai sul piano clinico ci sono pazienti che riprendono a parlare o a capire quasi immediatamente dopo un ictus, altri che pur non riuscendo a parlare si esprimono cantando, oppure parlando in latino o in una lingua straniera che avevano studiato da giovani?
I risultati di una ricerca appena pubblicata dal Molecular Mind Laboratory (MoMiLab) della Scuola IMT Alti Studi di Lucca, in collaborazione con il Dipartimento di Filologia Letteratura e Linguistica dell’Università di Pisa, indicano ora che le due aree scoperte da Broca e da Wernicke non giocano ruoli così nettamente distinti, ma collaborano intimamente sia nella produzione sia nella comprensione del linguaggio. Un vero e proprio gioco di squadra.
I ricercatori hanno sottoposto a risonanza magnetica funzionale (fMRI) quindici volontari sani mentre ascoltavano i suoni delle vocali della lingua italiana, li riproducevano ad alta voce, oppure dovevano solo immaginare di riprodurli. In tutte e tre le condizioni, le due piccole regioni corticali dialogavano attivamente tra di loro.
“Potremmo dire che è un po’ come se ‘l’orecchio’ servisse anche per parlare, e ‘la bocca’ anche per ascoltare”, spiega Alessandra Rampinini, giovane assegnista di ricerca che, sotto la guida dei professori Emiliano Ricciardi e Pietro Pietrini alla Scuola IMT e dalla professoressa Giovanna Marotta dell’Università di Pisa, ha condotto lo studio pubblicato in questi giorni su Scientific Reports, rivista scientifica del gruppo Nature.
Grazie a questo studio, si incomincia a capire qualcosa di più su come funziona la ‘corteccia linguistica’: i due classici luoghi ‘dell’ascolto’ e ‘della produzione’ sono in realtà unità complesse, suddivise in piccole sotto-aree, ed è qui che si gioca la capacità di ciascuna delle due di svolgere anche la funzione che gli autori dello studio definiscono ‘non-classica’: l’area di Broca non serve solo per parlare, ma c’è una sua piccola parte che ci ascolta mentre parliamo a noi stessi, e ascolta gli altri; allo stesso modo, l’area di Wernicke non serve solo per ascoltare, ma una sua piccola parte interviene anche quando parliamo. Ed è forse proprio in virtù di questa pluralità di funzioni intercambiabili e parallele, che raramente tutto è perduto e che esistono ampi margini di recupero delle funzioni perdute.
Questi risultati, frutto di una ricerca multidisciplinare tra umanisti e neuroscienziati, hanno implicazioni potenziali anche per lo sviluppo di nuove strategie riabilitative in pazienti che hanno perso le capacità di linguaggio per accidenti vascolari o di altra natura.