È cronaca quotidiana l’arresto di ragazzi di 16-18-20 anni per detenzione e spaccio di droga. Spesso si tratta di giovani appartenenti ad ottime famiglie, questo suscita in me alcune riflessioni:
- sappiamo che le sostanze tossiche da sempre circolano anche negli ambienti benestanti. La differenza rispetto al passato è che i nuovi metodi di indagine (intercettazioni telefoniche e ambientali, pedinamenti, analisi dei tabulati) consentono alle forze dell’ordine di individuare anche i consumatori più prudenti e accorti. Mentre prima erano inquisiti solo i ragazzi di “strada”, adesso anche quelli appartenenti a ceti sociali medio-alti;
- la legge Fini ha inasprito notevolmente le pene. Basta superare di poco la modica quantità per vedersi infliggere 4-6 anni di carcere. Questi giovani non solo sono vittime di se stessi, ma anche delle istituzioni che con estrema severità li giudicano e li condannano (vedi caso Cucchi);
- il Parlamento, nonostante casi clamorosi di importanti uomini politici (Marrazzo presidente della Regione Lazio, Mele parlamentare dell’UDC, etc.), continua ipocritamente a non vedere la tragedia di migliaia di famiglie italiane. Basterebbe prevedere pene alternative alla detenzione se non addirittura la depenalizzazione, come è stato fatto per l’alcol. A questo proposito voglio ricordare che l’alcol è secondo l’OMS la droga più diffusa e come tale quella responsabile del maggior numero di decessi (circa 40.000/anno in Italia);
- il problema della droga non è un fenomeno criminale-psichiatrico, ma soprattutto un fenomeno “commerciale e culturale”. Questi giovani, figli della crisi economica, senza la speranza di un lavoro, di una vita ordinaria, preferiscono sempre di più la vita notturna fatta di feste e di relazioni, alla vita diurna fatta di vuoto, disoccupazione e solitudine.
A questo punto, siccome penso di cadere nel mio solito atteggiamento paternalistico, per evitare sproloqui inutili, sento il bisogno di far parlare chi non ha mai avuto la possibilità di esprimere le proprie ragioni. Si tratta di Angelo (nome di fantasia).
Angelo è un bel giovane di poco più di 30 anni, capelli castano chiaro, occhi scuri, sempre sorridente e vivace. Angelo da alcuni anni mi accompagna nelle scuole per raccontare la propria esperienza con l’alcol e la droga.
Quella che segue è la sua storia, registrata durante un incontro con gli studenti dell’Istituto Marco Polo di Benevento.
LA TESTIMONIANZA
“Le lacrime di mia madre mi hanno salvato”
Salve, mi chiamo Angelo. Provengo da una famiglia onesta (mio padre è dipendente del Comune di Benevento) e numerosa (siamo cinque figli).
Ho iniziato a bere alcolici molto presto, verso i 14 anni. Ho lasciato la scuola dell’obbligo insieme ad alcuni miei compagni e la mattina siccome non avevamo nulla da fare fumavamo spinelli, che a Benevento si vendono dappertutto. Si vendono alla Stazione, a Rione Libertà, alla Pacevecchia. Con una spesa di circa 5-10 euro acquistavo una stecca di fumo che mi consentiva di preparare 4-5 spinelli.
A 18 anni già sniffavo cocaina ed eroina. La coca mi esaltava e a volte l’eccitazione era talmente potente che solo l’eroina riusciva a calmarmi. Compravo le dosi a Napoli e precisamente: Secondigliano, Oasi, Buonpastore, Sette palazzi, Vele, Vele rosse, Ponti Rossi etc. A volte rimanevo a Napoli per sei sette giorni consecutivi, spaccandomi “la capa” con gli stupefacenti e dormendo per strada.
Subito ho iniziato ad avere problemi con la giustizia in quanto la polizia ferroviaria che mi vedeva prendere il treno per Napoli mi fermava e mi perquisiva quasi sempre al ritorno quando avevo “la roba” addosso.
Ho rubato tutto l’oro della mia famiglia per un valore di circa 20 milioni di Lire. Due volte sono stato ricoverato in rianimazione e mi sono salvato a Napoli grazie all’intervento del 118. Sono stato in carcere per oltre cinque anni anche per tentato omicidio (a Roma un giovane tossico non pagò la “robba” ed io gli sparai nelle gambe).
Il carcere è terribile. A regina Coeli la vita era difficilissima. A Poggio Reale ancora peggio Nel reparto di transito ci sono celle con venti posti e letti a castello sino a 4 piani e il bagno alla turca aperto alla vista di tutti. Diverse volte mi sono tagliato le vene per cambiare cella e un giorno, in cui ero particolarmente depresso e sentivo le “voci”, ho raccolto in una bacinella il sangue che colava. Gli agenti di Polizia penitenziaria una sera, visto che continuavo a tagliarmi, mi picchiarono duramente. Durante la detenzione sentivo “voci” inesistenti che mi ordinavano di impiccarmi o aggredire altri detenuti.
Sono stato rimesso in libertà nel 2005 e siccome ero confuso disorientato, mia madre mi ha accompagnato dal dottore Vergineo. Quel giorno, vedendo mia madre piangere disperatamente, decisi di smettere. Le sue lacrime mi hanno salvato.
Per disintossicarmi e curarmi sono stato per circa un mese in una clinica psichiatrica. Adesso sto bene, frequento i gruppi di auto-mutuo-aiuto. Recentemente ho festeggiato quattro anni di sobrietà e di benessere. Ringrazio gli amici del gruppo, i miei genitori e soprattutto me stesso.