Roma, 4 settembre 2020 – La SIMEDET Società Italiana di Medicina Diagnostica e Terapeutica vuole ancora una volta sottolineare la necessità di modifiche strutturali per ottenere un maggior numero di medici specialisti a disposizione del Servizio Sanitario Nazionale. In questi mesi è emerso in maniera drammatica come tale carenza sia uno dei punti deboli della nostra, seppur eccellente, Sanità.
In Italia allo stato attuale non mancano i laureati in medicina, mancano gli specialisti. La capacità di formazione specialistica post-lauream è inferiore sia rispetto al numero dei laureati in Medicina sia rispetto al reale fabbisogno dei medici specialisti.Questo rappresenta una vera emergenza nazionale con un rischio reale di un regresso qualitativo della sanità pubblica.
Da oggi al 2025 mancheranno all’appello più di 15.000 medici specialisti ma allo stesso tempo circa 6.000 medici laureati ogni anno non hanno la possibilità di proseguire nel percorso post-laurea, in base anche alle proprie inclinazioni (molti abbandonano una scuola di specializzazione non desiderata e tentano più volte il concorso) e non troveranno alcuno sbocco professionale.
Ogni anno più di 1.500 laureati in Medicina decidono di emigrare verso altri paesi europei dove hanno la possibilità di specializzarsi e quasi sempre da tali paesi non tornano, dal momento che là ricevono offerte di impiego più numerose e più vantaggiose.
In altri termini il Sistema Italia investe , utilizzando fondi importanti ( circa 225 milioni di euro) , per formare e laureare un grande numero di medici che poi non sono utilizzati dal nostro SSN L’Italia così prima li fa laureare e poi li lascia andare.
Peraltro, aprire gli accessi alla facoltà di Medicina non farebbe che aumentare il numero dei medici che non riescono ad accedere alla formazione post-laurea e che rimangono prigionieri nel cosiddetto imbuto formativo, dato che al momento solo la metà circa dei laureati riesce a diventare un medico specialista.
In tale limbo, sospeso tra laurea e specializzazione, un medico può solo scegliere se lavorare sottopagato ed in precarie condizioni di sicurezza nelle guardie mediche o ancora peggio di lavorare negli ospedali dove si è assunti con contratti atipici, che non tutelano i diritti nonostante il carico di lavoro e di responsabilità sia praticamente come quello di uno specialista. Il risultato? Lo stiamo vedendo in queste drammatiche ore.
Come si potrebbe risolvere questa situazione?
Prima proposta
Aumentando le scuole di specializzazione e i posti disponibili attraverso:
- aumento del numero delle borse di specializzazione universitarie;
- ampliamento della formazione negli ospedali non universitari del territorio, istituendo un canale di formazione specialistica alternativo al classico percorso di specializzazione, ma perfettamente equipollente ad esso, da esercitarsi presso le strutture del SSN (Aziende ospedaliere, IRCCS, presidi ospedalieri ecc.) non universitarie, con contratti di formazione-lavoro per coloro che non hanno vinto il concorso nazionale.
Seconda proposta
Rendendo lo specializzando un professionista a tutti gli effetti, ma in continua formazione, attraverso:
- aggiornamento del contratto di formazione specialistica, elevandolo a vero e proprio contratto di formazione-lavoro e quindi istituendo un unico canale formativo omogeneo, dinamico e flessibile, che andrebbe a sostituire sia le borse di specializzazione nazionali che le borse aggiuntive regionali;
- eliminazione del concorso nazionale che si basa su un asettico test e l’istituzione di un metodo di valutazione basato su colloquio, curriculum, attitudini personali con assunzione piena di responsabilità da parte di chi assume;
- formazione continua dei medici che sarebbero guidati e supervisionati costantemente, ma inseriti in un contesto lavorativo più ampio, sfruttando tutte le strutture del SSN.
L’Italia è l’unico paese europeo nel quale l’Università ha il monopolio della formazione medico specialistica.
Il giudizio della qualità formativa universitaria, a detta degli stessi specializzandi,è spesso insufficiente e inferiore quando confrontata con quella delle strutture del SSN.
Ciononostante l’Università potrebbe continuare a offrire la formazione teorica agli specializzandi, che verrebbero inquadrati contrattualmente sin da subito come lavoratori, con contratto di lavoro a tempo determinato a scopo formativo, e parteciperebbe al controllo della qualità del percorso.
Mettendo in pratica una di queste due proposte, già attuate in molti paesi europei, ogni medico dopo la laurea potrebbe continuare il proprio percorso di formazione specialistica, seguendo anche la propria vocazione e la propria indole.
I risultati?
- ad ogni paziente verrebbe garantita la miglior cura possibile da parte di personale estremamente qualificato e competente;
- si eviterebbe il burnout da eccessivo carico di lavoro dei medici già in servizio;
- il lavoro di ogni medico sarebbe più gratificante e, dunque, meglio svolto;
- in caso di emergenze, come quella odierna del Covid-19, non ci sarebbe bisogno di ricorrere a misure straordinarie di assunzione che portano a dotarsi di personale sanitario non adeguatamente preparato e completamente allo sbaraglio. Ciò, fra l’altro, sarebbe anche meno dispendioso per le casse dello Stato;
- la salute di tutti noi sarebbe adeguatamente tutelata.
Non deve essere l’emergenza a garantire la Sanità pubblica, ma una corretta e giusta pianificazione.