Roma, 12 gennaio 2015 – Siete assolutamente sicuri che le rughe che vedete nello specchio sono il risultato della perdita di grasso sottocutaneo, collagene ed elastina? Dopo i 50 anni il problema inizia ad essere la perdita di tessuto osseo. Sono proprio le ossa craniche e del volto che sostengono la struttura cutanea. Il grasso e il derma si appoggiano sullo scheletro che le sostiene e con il tempo i primi cedimenti sono una sorta di ‘scivolamento’ dei tessuti verso il basso per effetto della forza di gravità.
“Ma mentre il peso spinge i tessuti verso il basso e il rinnovamento dei fattori trofici della pelle rallenta, anche le ossa del volto, alla stregua di quelle del resto del corpo, iniziano a consumarsi. Le ossa infatti sono l’impalcatura della nostra bellezza e le sue variazioni sono lente, impercettibili ma inevitabili. Quello che succede è che la pelle è in eccesso rispetto all’area su cui dovrebbe appoggiare, ed ecco che appaiono i solchi sulla pelle – spiega il dott. Carlo Macro, Specialista in Chirurgia Plastica, Estetica e Maxillo Facciale – I punti tipici di questo cedimento sono tutti quelli più sporgenti: fronte, tempie, zigomi, ma anche naso e mento. Un aspetto molto poco considerato, anche dai medici. Fenomeno simile è quello che porta ad un assottigliamento e alla retrazione di labbra anche belle in gioventù: in questo caso non è la perdita del vermiglio, ma il progressivo assottigliamento delle gengive, la loro retrazione e la riduzione delle ossa della bocca su cui appoggiano. Un fenomeno che porta allo sviluppo di rughe sottili e di segni verticali analoghi al cosiddetto ‘codice a barre’ tipico dei fumatori che dichiara una età non più giovane. Se nel caso delle labbra è possibile riempire i volumi con un filler ad effetto ‘rimpolpante’, quando si tratta delle ossa i filler possono non bastare. Interventi con sostanze liquide hanno infatti l’unico effetto di riempire dando al viso un aspetto ‘gonfio’ e poco gradevole. Se le ossa hanno perso spessore e la pelle ha ceduto la sua elasticità come pedaggio del tempo trascorso, l’unica soluzione davvero efficace e percorribile è il lifting. Non necessariamente un intervento invasivo, giacché è possibile intervenire anche solo su una delle tre zone, chiamate ‘terzi’ che dividono orizzontalmente il viso.
Ma il problema non si limita solo al cedimento ‘strutturale’ ma interessa anche una modificazione della forma generale del viso e ad un cambio della sua anatomia generale, visi allungati da giovani tendono ad arrotondare con il tempo, volti squadrati e dai lineamenti duri si addolciscono mentre a pagare il prezzo più vantaggioso sono i visi tondi con un derma ricco di tessuto adiposo che mantiene più a lungo la sua elasticità e le linee di tensione nel tempo, a meno che nel frattempo non si verifichino severi dimagrimenti.
Lo hanno constatato anche i colleghi americani dell’American Society of Plastic Surgeon che hanno misurato i cambiamenti della zona T di un gruppo di uomini e donne scoprendo che queste modificazioni sono diverse tra maschi e femmine. Insomma, non perdiamo massa ossea allo stesso modo: nelle donne tende a cedere la zona alla sommità del triangolo nasale dove compaiono le odiate rughe glabellari (ma facilmente trattabili con la tossina botulinica), ma anche l’estremità esterna delle sopracciglia e quindi un rilassamento più marcato della palpebra che assume così un’espressione stanca e invecchiata, mentre nei maschi si modifica in maniera più severa il terzo medio e inferiore, cedono le guance che si svuotano e appaiono inesorabili le rughe chiamate appunto ‘naso-labiali’, quelle che vanno dalla base del naso agli angoli della bocca. Un altro cedimento tipico è quello dell’angolo ‘piriforme’ dove l’osso sottostante recede rendendo il naso molto più grande e sporgente.
Nello stesso tempo gli Stati Uniti assistono a un boom della chirurgia plastica proprio negli over 65, la fascia di pazienti in maggiore crescita, con un aumento del 350% negli ultimi cinque anni così come calcolato dall’American Society for Aestetic Plastic Surgeon che mette in guardia i propri associati dai rischi legati all’età, individuando delle ‘red flag’ come la presenza di diabete o ipertensione, e numerose altre condizioni che devono prevedere una selezione estremamente accurata dei pazienti e una valutazione congiunta con l’anestesista.
“Nonostante quello che appare uno scenario spaventoso, oggi è possibile intervenire in maniera mini-invasiva e su più livelli, ad esempio associando un moderato aumento di volume con i filler e il trasferimento di grasso ad un piccolo lifting che riposizioni correttamente i tessuti visibili. Oppure, se il rilassamento cutaneo non è eccessivo, con i nuovi fili riassorbibili che non solo esercitano una trazione ma stimolano i fibroblasti a produrre tessuti nuovi che favoriscono proprio il trofismo e quindi la giovinezza della pelle. Di fronte a solchi cutanei profondi quindi, limitarsi a riempire è un errore anche perché il risultato ottenuto è visibilmente innaturale. Una strategia multi-approccio è la strada più raffinata per ottenere risultati davvero soddisfacenti” conclude il chirurgo.
fonte: ufficio stampa