Intervista al prof. Ezio Adriani, Direttore del Centro di Traumatologia dello sport e Chirurgia del ginocchio del Policlinico A. Gemelli IRCCS di Roma: “I primi sintomi quando si verifica l’usura della cartilagine a cui stare attenti sono il dolore e la presenza di un liquido all’interno dell’articolazione”
Roma, 15 luglio 2020 – Il dolore al ginocchio può essere un problema comune e coinvolgere persone di qualsiasi età ma dietro qualche fastidio può celarsi un problema più importante che non va sottovalutato. Anche perché la precocità d’intervento, conservativo o chirurgico, è essenziale al superamento del problema. Per capire quali sono le novità nel campo chirurgico e protesico che riguardano il ginocchio, l’agenzia di stampa Dire ha raggiunto via skype il prof. Ezio Adriani, Direttore del Centro di Traumatologia dello sport e Chirurgia del ginocchio del Policlinico A. Gemelli IRCCS di Roma.
Danno articolare e dolore al ginocchio. Quali possono essere le cause e i sintomi da non sottovalutare?
“Le cause del danno articolare sono dovute soprattutto a un sovraccarico che usura le nostre articolazioni ed in particolar modo la cartilagine che è l’elemento anatomico più importante. Il sovraccarico può originarsi sia per un’attività lavorativa, per eccesso ponderale, per traumi e per genetica cioè dipende dalla conformazione delle nostre articolazioni e del carico che queste andranno a subire nel corso della vita.
I primi sintomi quando si verifica l’usura della cartilagine a cui stare attenti sono il dolore e la presenza di un liquido all’interno dell’articolazione. Questo è il segnale che qualcosa si sta modificando e il paziente ha difficoltà a svolgere le normali attività quotidiane come scendere le scale, stare seduto a lungo e ovviamente la perdita del movimento mentre l’articolazione, in condizioni normali, deve muoversi. La perdita di movimento allora anche solo di pochi gradi modifica quelle che sono le nostre performance nelle attività sia quotidiane che sportive”.
Quando è necessario sottoporsi all’intervento? E quali sono oggi le tecniche chirurgiche più innovative?
“Prima di sottoporsi a un intervento chirurgico bisogna fare una diagnosi e capire quali sono le cause del problema. Successivamente si può intervenire seguendo prima un percorso conservativo al fine di preservare il più possibile le articolazioni. Se ci si trova davanti alla rottura di una struttura che deve essere riparata pensiamo ad un menisco, un crociato, una cartilagine bisogna intervenire subito.
Se è necessario sostituire una struttura usurata si effettua prima un percorso conservativo che prevede una serie di cambiamenti negli stili di vita. Innanzitutto perdere peso, praticare un’attività sportiva meno aggressiva e fare movimento. Eseguire una corretta fisioterapia che possa aiutare nel percorso e a ridurre il dolore e poi pensare a delle infiltrazioni eseguite dall’ortopedico che possono essere composte da acido ialuronico, sostanza che lubrifica l’articolazione consentendo un movimento più fluido oppure possono essere composte da cortisone che riduce l’infiammazione.
Se non bastasse si può ricorrere a delle infiltrazioni avanzate. Mi riferisco a quelle che erroneamente vengono definite cellule staminali e che invece sono sostanze presenti nel sangue, nel midollo e nel tessuto adiposo che possono aiutare a ripristinare quello che è l’equilibrio articolare. Tutto questo ci aiuta nel percorso conservativo ma quando tutto queste procedure dovessero fallire e sussiste un indicazione corretta, quando si verifica una perdita delle rime articolari, allora il chirurgo deve intervenire”.
Si sente parlare di osteotomia, di cosa si tratta e quali sono i benefici per il paziente?
“Certamente, prima di pensare ad un impianto di protesi è necessario intervenire e provare a correggere le deformità. L’osteotomia non è altro che una frattura, un taglio dell’osso. Se è presente una struttura articolare che è deviata in varo, il ginocchio a forma di O tipico degli uomini o in valgo, le tipiche ginocchia a forma di X delle donne è chiaro che entrambe le tipologie di strutture porteranno ad una usura maggiore di compartimenti, rispettivamente interno ed esterno e questo provoca nel paziente dolore ed infiammazione.
Lo specialista può intervenire correggendo questi assi. Come? Facendo un taglio della tibia o del femore, a seconda della deformità per andare a ricreare l’asse giusto. Oggi è possibile ricorrere a metodiche molto avanzate grazie a ricostruzioni al computer che ci permettono di essere precisi al grado di correzione”.
La protesi del ginocchio può essere parziale o totale. Qual è il criterio che guida lo specialista nella scelta? E c’è necessità dopo anni di essere sostituita oppure no?
“Una volta che il patrimonio di cartilagine è stato consumato nonostante il paziente abbia messo in atto tutti i meccanismi di protezione è chiaro che ci si trova davanti ad un ginocchio con la rima articolare completamente consumata. Questo impedirà a quel ginocchio di muoversi.
Oggi le soluzioni sono molto avanzate ed infatti consentono di sostituire l’articolazione anche non completamente. Se il soggetto presenta una usura completa allora si può pensare a fare una protesi totale. Cos’è la protesi? È la sostituzione della cartilagine dello spazio articolare e cioè viene incapsulato il femore e la tibia e in mezzo si inserisce una componente di plastica particolarmente resistente di politilene. E questa può essere totale quando coinvolge entrambi i componenti dei compartimenti del ginocchio, mediale e laterale oppure parziale quando è rovinato un solo compartimento.
A questo punto si parla di protesi monocompartimentale. La ridotta invasività, restituisce un intervento meno cruento e relativa riabilitazione molto rapida. Per questo quando è possibile ricorrere alla monocompartimentale è da preferire perché superiore alla totale in quanto permette di mantenere i legamento crociati cosa che non è possibile perseguire con la protesi totale. Per cui il paziente con protesi parziale avrà sicuramente una performance nel suo utilizzo superiore a quella totale.
Ciò non è sempre possibile e dunque vanno sempre rispettate le indicazioni in quei casi di protesi totale il chirurgo deve essere molto preciso per farle durare perché sappiamo che una protesi dura tanto più viene correttamente posizionata.
Le novità sono i sistemi di navigazioni che consentono precisione, anche nell’osteotomia, e permettono di fare tagli precisi grazie ad avanzati sistemi di robotica entrata ormai nella chirurgia protesica. Il vantaggio è anche la riduzione al minimo degli errori tecnici. Inoltre, dall’ultimo studio pubblicato lo scorso anno sulla rivista Lancet conferma che le protesi rimangono ancora in sede dopo 25 anni nell’82% delle protesi totali e nel 70% delle protesi monocompartimentali”.
(fonte: Agenzia Dire)