Disuguaglianze regionali su prevenzione, assistenza ospedaliera e territoriale. Report di Cittadinanzattiva

Roma, 8 dicembre 2020 – Sulle coperture vaccinali non c’è un’area del Paese che brilli più delle altre; sull’adesione agli screening oncologici il Sud è molto indietro ma l’effetto Covid si fa sentire in tutta Italia. Così come l’emergenza sanitaria ha mostrato quanto le carenze nell’assistenza territoriale e in quella domiciliare accomunino varie aree del nostro territorio. E i pazienti con malattie rare hanno dovuto fare i conti con tagli all’assistenza socio-sanitaria durante il periodo di lockdown.

Questa la fotografia che emerge dall’Osservatorio civico sul federalismo in sanità, giunto alla sua ottava edizione, presentato oggi da Cittadinanzattiva-Tribunale per i diritti del malato nel corso di un webmeeting alla presenza anche del Ministro della Salute Roberto Speranza.

Il rapporto propone una lettura del nuovo sistema di garanzia dei Lea partendo dai tre assi fondamentali della prevenzione, dell’assistenza ospedaliera e della assistenza territoriale e, sulla base di questi, analizza alcune delle più evidenti differenze nella risposta dei sistemi sanitari regionali ai bisogni e aspettative dei cittadini e del territorio di riferimento.

“Così come l’emergenza sanitaria ha portato alla luce l’inadeguatezza dell’assistenza territoriale in troppe aree del nostro Paese, allo stesso modo appare evidente che solo un’idea comunitaria di sanità – che capovolge la relazione fra territorio e ospedale poiché non solo riconosce al primo la stessa centralità dell’ospedale, ma integra quest’ultimo nel territorio e nella comunità e smette di concepirlo come una struttura a sé, autogestita e spesso autoreferenziale – è anche quella in grado di garantire un meccanismo più efficace di lotta alle disuguaglianze”, dichiara Antonio Gaudioso, segretario generale di Cittadinanzattiva.

“Una sanità – e una conseguente organizzazione dei servizi sanitari – concepita in tal modo raggiunge le persone laddove sono, propone percorsi che tengono conto dei loro bisogni di salute e delle informazioni di cui dispongono per soddisfarli, garantisce la prossimità e rende possibili, attraverso essa, politiche di accesso facilitato, di prevenzione, di aderenza alle cure che sono presupposto di salute per tutti i cittadini”.

Prevenzione

Coperture vaccinali, punteggi variabili da Nord a Sud. Effetto Covid sugli screening oncologici
Per il vaccino contro morbillo, parotite e rosolia (MPR), nel 2019 raggiungono la soglia stabilita del 95% Emilia Romagna, Toscana e Veneto (che registra la migliore percentuale, pari al 96,4%). Molto indietro la provincia autonoma di Bolzano che arriva appena al 70,8%.
Per il vaccino esavalente, si registrano ancora coperture non adeguate nella P.A. di Bolzano e in Sicilia.

Sulle coperture del vaccino HPV, i punteggi migliori si registrano in Umbria (80,5%), Emilia Romagna (76,5%), i peggiori nella provincia autonoma di Bolzano (37,3%), Abruzzo (45,6%), Sicilia (46,1%) e Sardegna (48,1%).
L’adesione allo screening mammografico è più alta in Emilia Romagna (77%), male la Campania dove aderisce appena il 22%.

Per lo screening cervicale organizzato l’adesione in Valle D’Aosta raggiunge il 77%, tantissime le regioni inadempienti con al minimo la Campania dove raggiunge appena il 21%. Per lo screening colorettale, bene la Lombardia con il 71% di adesione, malissimo la Puglia con appena il 4% e la Calabria con il 6%.

Effetto covid: nei primi cinque mesi del 2020, rispetto agli stessi mesi del 2019, la Toscana registra un ritardo del 40,7% nell’erogazione degli screening mammografici mentre la Calabria arriva al 71,2%. Sul colorettale, Calabria e Lazio registrano una riduzione di oltre il 72% che, nel caso del Lazio, corrisponde circa a 540 casi in meno diagnosticati di tumore.

In Campania e Calabria mancano mammografi, apparecchiature per Tac e Risonanza magnetica
Ben al di sotto della media nazionale per dotazione di mammografi (96,6 per 1 milione di abitanti), ci sono regioni del sud come la Campania con 76,5 mammografi per 1.000.000 di abitanti e la Calabria con 86,6. Stessa situazione per la Calabria e la Campania in merito alla dotazione di TAC (rispettivamente 17,8 e 16,1 con media nazionale a 19,9/1mln abitanti) e a quella di risonanze magnetiche (rispettivamente con 7,6 e 4,3 con media a 12).

Assistenza ospedaliera

Regioni a macchia di leopardo fra ricoveri sospesi, posti letto mancanti in terapia intensiva e medici ed infermieri insufficienti
La seconda ondata di emergenza Covid-19 non solo non ha consentito di recuperare le prestazioni sanitarie rimandate, ma di fatto ha generato un ulteriore effetto valanga. Al 5 novembre l’Abruzzo ha deliberato la sospensione dei ricoveri con classi di priorità B, C e D (ossia quelli che dovrebbero essere effettuati rispettivamente entro 60 gg, 180 gg, 12 mesi), mentre Lombardia, Puglia, Calabria e Campania hanno optato per una sospensione integrale dei ricoveri (anche la cd classe A, ossia quelli da garantire entro 30gg).

A seguito delle misure previste dal Governo per implementare i posti letto, alla data del 9 ottobre 2020 solo Veneto, Friuli Venezia Giulia e Valle d’Aosta risultavano pronte ad affrontare la seconda ondata con una dote di letti in terapia intensiva che supera i 14 posti per 100mila abitanti, la soglia di sicurezza fissata dal Governo a maggio scorso con il dl rilancio (D.L. 34/2020). Situazione critica in Campania che ha incrementato di 92 posti letto a fronte dei 499 previsti dal DL 34, in Umbria che non ha incrementato alcun posto letto e nelle Marche che ha incrementato solamente 12 posti letto. Altre Regioni sono comunque indietro come Abruzzo, Piemonte, P.A Trento e Puglia.

Se i posti letto in terapia intensiva non sono ovunque adeguati, ancor più evidente si è fatta la carenza di personale sanitario – medici e infermieri – disponibili presso questi reparti. Secondo la recente analisi proposta da Altems, se prima dell’emergenza sanitaria il rapporto in Italia tra anestesisti e rianimatori e posti letto di TI era di 2.5, con l’acquisizione di personale tramite bandi per posizioni a tempo indeterminato e determinato e il contemporaneo incremento di posti letto, tale rapporto scende a 1,9 (-0,6), con marcate differenze regionali.

Il valore più basso si registra per Veneto e Valle D’Aosta: rispettivamente 1,4 e 1,6 anestesisti per posto letto di terapia intensiva. Al contrario la regione che mantiene il rapporto più alto è la Provincia Autonoma di Bolzano con 2, 8 unità per posto letto. Molise e Calabria, risultano al momento le uniche regioni a registrare un incremento positivo passando rispettivamente da 2.0 a 2.4 e da 2.4 a 2.5 anestesisti e rianimatori per posto letto in terapia intensiva.

Assistenza territoriale

Più di sette medici su dieci laureati oltre 27 anni fa
A fronte di una media nazionale di 1 medico di famiglia per ogni 1211 adulti assistiti, in Lombardia il rapporto sale a 1/1400, mentre il valore minimo si registra in Basilicata con 1/1037. In tutte le Regioni del Sud, ad eccezione della Regione Sardegna, ogni medico di medicina generale gestisce in media meno pazienti rispetto ai colleghi del resto d’Italia.

Quello che preoccupa è soprattutto, a livello nazionale, la crescente anzianità dei MMG: la percentuale di quelli con oltre 27 anni di anzianità di laurea è passata dal 32,2% del 2007 al 73,5% del 2017, con le conseguenti preoccupazioni legata all’imminente carenza di MMG e ai rischi collegati.

Strutture residenziali, pochi posti al Centro Sud
Le strutture residenziali (RSA-Residenze Sanitarie Assistenziali), Case di cura, Case di riposo, Case albergo, Comunità alloggio, etc) sono in tutto 7.372, di cui 6.070 private accreditate (82,3%) e 1.302 pubbliche (17,7%). Il numero delle private nel tempo è aumentato mentre quelle pubbliche è diminuito. In base ai dati del monitoraggio dei LEA, le regioni del nord complessivamente possiedono più posti letto equivalenti (sulla base delle giornate di assistenza erogate) per anziani, tranne la regione Valle d’Aosta. Il centro sud mostra valori lontani dalla sufficienza (score 9 di riferimento) con punte critiche in Basilicata (1.2), Campania (1.3), Molise anche se in miglioramento.

L’assistenza domiciliare integrata
In Italia, il numero di over 65 che ricevono cure domiciliari è quasi raddoppiato nell’ultimo quadriennio, passando dalle 232.687 persone del 2014 alle 433.366 del 2017.

Nel 2017, in Italia sono state prese in carico dall’ADI 868.712 persone (1,8% dei residenti). Si passa da un ricorso massimo, pari al 3,7% del Veneto, ad uno minimo della Valle d’Aosta (0,05%). Guardando al dato delle persone over65 (il 49,9% di quelle assistite in ADI), si passa da un valore massimo di ricorso a tale forma assistenziale pari all’8,4% del Molise, ad uno minimo dello 0,2% della Valle d’Aosta, a fronte di una media nazionale di 3,2%.

Istituite la metà delle Usca (Unità speciali di continuità assistenziale per l’emergenza Covid) previste
Il D.L 14/2020 ha previsto l’istituzione da parte delle Regioni, presso una sede di continuità assistenziale già esistente, di una unità speciale ogni 50.000 abitanti per la gestione domiciliare dei pazienti affetti da Covid-19 che non necessitano di ricovero. A fronte di 1-200 USCA previste ne sono state istituite la metà: la Basilicata è quella con il tasso di copertura maggiore (107%), la Campania quella con il tasso minore (appena il 15%).

Spesa privata per i farmaci, più alta per i cittadini del sud e delle isole
L’area geografica con i consumi più alti di equivalenti è rappresentata dal Nord e dal Centro d’Italia mentre Calabria, Basilicata, Campania, Sicilia, nonostante un lieve aumento nel consumo di questi farmaci, mostrano i valori più alti di spesa per gli ex-originatori.

Nel 2019 la spesa totale privata per i farmaci (€ 8.842 milioni a carico dei cittadini) è aumentata di € 463 milioni. Dei 1581 milioni di compartecipazione, solo il 29% è riferibile al ticket fisso mentre il 71% è imputabile al differenziale di prezzo tra farmaco originator (brand) ed equivalente.

La spesa pro capite più elevata per compartecipazione vede al primo posto Sud e le Isole con €23,5 l’anno; segue il Centro con €20,4 e il Nord con €14,3. A livello regionale, i valori più bassi di compartecipazione nella Provincia Autonoma di Bolzano (€12,2) e di Trento (€13), in Valle d’Aosta (€13,2) e Toscana (€ 13,7); il valore più alto in Calabria (€25,5), Lazio (€ 25,3), Campania (€25,3) e Sicilia (€ 24,8).

Il fascicolo sanitario elettronico non decolla
Il Decreto Rilancio ha semplificato le procedure di attivazione del Fascicolo sanitario elettronico ma ancora ad oggi persistono marcate differenze regionali. Tutte le regioni, ad eccezione della Calabria, lo hanno attuato, l’Abruzzo presenta una percentuale di attuazione pari solo al 36%. In Basilicata, Campania, Lazio, Marche, Molise la percentuale di cittadini che lo utilizza è compreso tra lo 0% e il 2%. Non va meglio per l’Umbria (9%), Sicilia (17%), Puglia (28%) e Liguria (37%).

Malattie rare: due pazienti su tre costretti a spostarsi per curarsi
Attraverso una indagine civica volta a verificare lo stato attuale di vita e di cura delle persone affette da una malattia rara, Cittadinanzattiva ha raggiunto 724 pazienti, prevalentemente donne (73%), il 50,4% ha un’età compresa tra i 41 ed i 60 anni, di tutte le regioni italiani ad eccezione del Molise.

L’81,3% degli intervistati è affetto da una patologia rara riconosciuta dal Decreto ministeriale n.279/2001, ma il 16,2% non sa nemmeno se la patologia è ufficialmente riconosciuta o no. Ben il 23,5% dei pazienti non è in cura in un centro che fa parte della rete delle malattie rare.

Non pochi quelli che sono costretti a spostarsi per curarsi: ben il 66,2%. Si spostano quasi tutti verso il Centro/Nord, in prevalenza verso la Lombardia (19%), il Piemonte (13,9%), il Lazio (13%), la Toscana (11,7%), il Veneto (9,8%) e l’Emilia Romagna (7,3%). Per quanto riguarda il Mezzogiorno il punto di riferimento è rappresentato dalla Campania (4,7%). Per giungere alla diagnosi, ben il 31,2% dichiara di aver atteso più di 10 anni, il 23% dichiara di averci messo dai 2 ai 10 anni, dobbiamo arrivare al 12,5% del campione per arrivare ad un’attesa accettabile (meno di sei mesi).

Sorprende la quota pari al 7,2% di persone che è arrivato da solo a formulare il dubbio diagnostico, con una ricerca su internet, con un programma o una pubblicità in televisione, o ancora con un articolo su una rivista.

Durante il periodo di emergenza e di lockdown, il 65% ha avuto grandi difficoltà, in particolare per l’interruzione della assistenza specialistica (43,7%), il 36,2% ha riscontrato problemi nel poter continuare la terapia, l’8,2% si è trovato senza assistenza personale, con l’impossibilità di muoversi e un aiuto nel compiere atti quotidiani come vestirsi, lavarsi. C’era anche il timore di recarsi nella farmacia territoriale per paura di contrarre il virus (25,4%) o l’impossibilità di proseguire la terapia a causa della chiusura del day hospital (18,9%). Ancora, il 13,6% ha avuto difficoltà nella consegna dei farmaci a domicilio.

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