Boston, 9 aprile 2020 – Secondo l’UNESCO, oltre 1 miliardo di studenti in tutto il mondo è a casa a causa della chiusura delle scuole determinata dalla pandemia globale Covid-19. Di conseguenza, una vasta percentuali di questi alunni segue le lezioni a distanza via web.
Un recente ricerca indica che i bambini, tra i 9 e i 12 anni, passavano già 4 ore al giorno davanti a schermi e computer, con un picco tra i più grandi, tra i 13 e i 18 anni, di 7 ore al giorno trascorse davanti a dispositivi, ad esclusione dei lassi di tempo dedicati a scopi scolastici.
Oggi, con scuole e università chiuse durante questa emergenza sanitaria globale senza precedenti, il tempo di esposizione agli schermi si è moltiplicato in maniera esponenziale e le attività di smart-schooling sono divenute obbligatorie per il proseguimento della didattica scolastica e universitaria.
Come afferma il prof. Stefano Barabino, responsabile del Centro Superficie Oculare e Occhio Secco dell’Ospedale L. Sacco di Milano: “L’esposizione prolungata a schermi digitali determina una più rapida evaporazione del film lacrimale, quel sottile strato di liquido che riveste la superficie oculare. Il motivo risiede nello scarso o incompleto ‘ammiccamento’,‘blink’ in inglese: gli occhi vengono strizzati meno di frequente e questo rallenta la diffusione del film lacrimale sulla superficie dell’occhio con conseguenze che vanno dall’affaticamento al bruciore, dall’irritazione al dolore. Se lo stimolo persiste a lungo questo provoca una infiammazione che può diventare cronica. Studi hanno dimostrato che la visione di fronte a schermi digitali determina una diminuzione del rateo di ammiccamento del 40%”.
Sbattere le palpebre serve a mantenere intatto il film lacrimale, un sottile strato di acqua e lipidi (grassi) sulla superficie dell’occhio che ci fa vedere nitidamente e ci protegge da corpi estranei e sostanze irritanti. Fissare gli schermi per periodi prolungati di tempo significa sbattere le palpebre meno frequentemente e aumentare il rischio di sviluppare i sintomi della malattia dell’occhio secco.
“Basti pensare che ogni minore di 18 anni accede ai social media innumerevoli volte al giorno e anche i contenuti video che prima erano fruiti in televisione oggi si vedono sugli schermi degli smartphone – prosegue Barabino – Questo significa una enorme quantità di visione da vicino che porta a stanchezza oculare e disturbi della visione di varia entità che possono avere un impatto sullo sviluppo fisico, sociale ed emotivo”.
Troppo spesso liquidata come disturbo lieve e passeggero, la gestione dell’occhio secco è stata relegata in passato a disturbo di ‘serie b’ e i pazienti lasciati alla ricerca di rimedi che si limitassero ad alleviare i sintomi. Anche grazie a due documenti fondamentali realizzati dalla Società Scientifica americana TFOS (Tear Film & Ocular Surface Society), il DEWS I e II, e riconosciuti a livello mondiale, il modo in cui viene diagnosticata e gestita la malattia è radicalmente cambiato.
Esperti dell’occhio secco di fama internazionale della TFOS raccomandano di seguire la regola 20-20-20:
- Ogni 20 minuti di visione da vicino fissa un punto lontano 20 piedi (6.096 metri) per almeno 20 secondi.
- Ogni 20 minuti chiudi le palpebre e poi strizzale leggermente per 2 secondi svolgendo un ammiccamento.
Questa semplice azione ripristina il film lacrimale, riattiva la vista a distanza e riposa gli occhi!
Che cos’è l’occhio secco
La malattia dell’occhio secco colpisce milioni di persone in tutto il mondo ed è una delle principali cause di visita oculistica. Questa malattia sintomatica è caratterizzata da un film lacrimale instabile e più concentrato (chiamato iperosmolare), che porta ad un aumento dell’infiammazione con conseguenti danni alle strutture e ai nervi degli occhi.
La secchezza oculare da moderata a grave può alterare la qualità della vita e può essere associata a dolore agli occhi, limitazioni nell’esecuzione di attività quotidiane (ad esempio lettura, guida, uso di dispositivi digitali), privazione del sonno, riduzione dell’energia, cattiva salute generale e spesso depressione.