Lo studio, pubblicato su “The Lancet Regional Health Europe”, è stato coordinato da Gian Paolo Fadini, Principal Investigator dell’Istituto Veneto di Medicina Molecolare (VIMM) e Professore Ordinario di Endocrinologia dell’Università di Padova
Padova, 15 febbraio 2024 – Il diabete tipo 2 affligge quasi 4 milioni di persone in Italia ed è una malattia gravata dal rischio di significative complicanze croniche a carico di molteplici organi.
Nel diabete, l’aumento persistente dei livelli di zucchero nel sangue può danneggiare i piccoli vasi sanguigni nei reni, compromettendo la loro funzione nel filtrare le scorie dal sangue. Questo può portare gradualmente a un peggioramento della funzione renale nel tempo, tanto che la malattia renale cronica (MRC) è una conseguenza comune e grave del diabete.
Questa complicanza è stata studiata in una nuova ricerca, pubblicata su The Lancet Regional Health Europe e coordinata da Gian Paolo Fadini, Principal investigator del Laboratorio di Diabetologia Sperimentale dell’Istituto Veneto di Medicina Molecolare (VIMM), Professore Ordinario di Endocrinologia dell’Università di Padova e Responsabile dell’Unità Operativa di Diabetologia Ambulatoriale dell’Ospedale di Padova.
Lo studio, promosso dalla Società Italiana di Diabetologia e condotto su un ampio campione di pazienti afferenti a 50 centri diabetologici italiani, ha valutato l’efficacia di Dapagliflozin, un inibitore del cotrasportatore sodio-glucosio di tipo 2 (SGLT2i), sulla funzione renale dei pazienti affetti da diabete di tipo 2 (T2D) valutati in un contesto clinico routinario.
Utilizzando un metodo di appaiamento basato sui propensity score, i ricercatori hanno selezionato due gruppi di pazienti con caratteristiche simili. I risultati hanno mostrato che l’inizio del trattamento con Dapagliflozin ha portato a un miglioramento significativo della funzione renale rispetto all’inizio di altri farmaci.
In particolare, è stato osservato un rallentamento del declino della velocità di filtrazione glomerulare stimata (eGFR) nel gruppo trattato con Dapagliflozin rispetto al gruppo di controllo. Questo effetto positivo è stato mantenuto nel tempo durante un periodo di osservazione medio di 2,5 anni, che in alcuni pazienti arrivava anche a 5 anni.
Inoltre, è stato riscontrato un significativo decremento dell’albuminuria, un marcatore di danno renale, entro i primi 6 mesi dall’inizio del trattamento con Dapagliflozin, che si è mantenuto più basso per tutto il periodo di osservazione rispetto a coloro che hanno utilizzato altri farmaci.
“Si stima che circa il 30-40% delle persone con diabete sviluppi una malattia renale cronica. La presenza di altri fattori di rischio, come l’ipertensione, il fumo di sigaretta e l’obesità, può aumentare ulteriormente il rischio di sviluppare questa complicanza del diabete – sottolinea Gian Paolo Fadini – Il nostro studio ha dimostrato che anche in pazienti con una situazione renale normale, Dapagliflozin ha ridotto la probabilità di sviluppare malattia renale cronica, emergendo come un trattamento efficace nella prevenzione primaria del danno renale in persone affette da diabete”.
Secondo Angelo Avogaro, co-autore dello studio ed attuale Presidente della Società Italiana di Diabetologia, “i risultati di questo studio confermano l’importanza di una terapia basata su SGLT-2 inibitore, in particolare Dapagliflozin, nel migliorare la funzione renale nei pazienti con diabete di tipo 2, soprattutto in coloro che presentano un basso rischio renale iniziale. Questi risultati sono di grande rilevanza clinica e potrebbero influenzare le scelte terapeutiche nei pazienti affetti da questa patologia”.