Le recenti innovazioni nella terapia del diabete hanno dimostrato di ridurre la mortalità cardiovascolare fino al 38% e il rischio di progressione della nefropatia diabetica verso l’insufficienza renale grave del 40%. Diabetologi, cardiologi e nefrologi fanno il punto per valutare insieme in che modo le evidenze dei recenti studi clinici si possano tradurre nelle scelte terapeutiche della pratica clinica. Se ne parla domani e sabato al convegno promosso dall’Associazione Medici Diabetologi “Impact of diabetes drugs on cardiovascular and renal disease in type 2 diabetes”
Roma, 1 febbraio 2018 – La malattia cardiovascolare è la prima causa di morte delle persone con diabete. L’insufficienza renale, invece, le espone a un rischio di morte quattro volte maggiore rispetto alla popolazione generale. I nuovi farmaci antidiabetici, a differenza della precedente generazione di terapie disponibili, oltre a controllare efficacemente i livelli glicemici permettono di gestire anche queste, che sono tra le complicanze più frequenti e con il più grave impatto, sulla qualità e speranza di vita, nei pazienti con diabete tipo 2.
Proprio su questa capacità delle terapie di ultima generazione – di controllare efficacemente le complicanze cardiovascolari e renali nelle persone con diabete – si focalizza il convegno promosso per il 2 e 3 febbraio prossimi, a Roma, dall’Associazione Medici Diabetologi (AMD). Titolo del convegno, esaustivamente, “Impact of diabetes drugs on cardiovascular and renal disease in type 2 diabetes”. In un innovativo setting multidisciplinare che vede coinvolti diabetologi, cardiologi e nefrologi, verrà discusso un nuovo paradigma di gestione del diabete che sta imponendo un aggiornamento delle linee guida e un cambio di rotta nella pratica clinica quotidiana.
“Il problema importante legato al diabete mellito è una mortalità cardiovascolare elevata rispetto alla popolazione non diabetica e l’impegno, nel passato, a portare la glicemia a valori vicino alla normalità non riusciva comunque a ridurre la mortalità cardiovascolare – sottolinea Franco Tuccinardi, Primario di diabetologia all’Ospedale di Formia e Consigliere nazionale AMD, responsabile scientifico del convegno insieme al dottor Domenico Mannino – Oggi, grazie a nuovi farmaci per la cura del diabete, abbiamo la possibilità di abbassare la glicemia e contemporaneamente ridurre in modo significativo la mortalità cardiovascolare. Nello studio EMPA-REG OUTCOME il farmaco Empagliflozin riduce la mortalità cardiovascolare del 38% e nello studio LEADER il farmaco Liraglutide la riduce del 22%. In uno studio osservazionale effettuato con le Glifozine si aveva una riduzione della mortalità totale del 51%. Questi risultati sono così importanti da rivoluzionare la terapia del diabete tipo 2: bisogna passare dalla scelta di farmaci tradizionali che abbassano la glicemia senza nessun vantaggio sulla riduzione della mortalità (treat to target) alla scelta di questi nuovi farmaci che riducono in modo significativo la mortalità (treat to benefit) soprattutto nei pazienti che hanno già avuto un evento cardiovascolare e in questa direzione vanno anche le nuove linee guida 2018 dell’Associazione Americana per il Diabete”.
“I diabetici hanno un rischio di andare incontro a insufficienza renale doppio rispetto a chi non soffre di questa patologia – commenta Carmine Zoccali, Presidente dell’European Renal Association, European Dialysis and Transplantation Association (ERA EDTA) – In più, la presenza di insufficienza renale nei soggetti con diabete quadruplica il loro rischio di morte rispetto alla popolazione non diabetica e senza insufficienza renale, e quasi lo triplica rispetto alla popolazione diabetica senza insufficienza renale. Le Glifozine, una classe di farmaci che riduce il riassorbimento tubulare del glucosio grazie a un peculiare meccanismo di azione sulla microcircolazione renale, si sono dimostrate in grado di abbattere del 40% il rischio di progressione della nefropatia diabetica verso il grado più avanzato di insufficienza renale, cioè il grado 5, quello che impone la dialisi e/o il trapianto. Inoltre, questi stessi farmaci riducono di circa il 30% il rischio di morte nei diabetici. In sintesi, l’impiego delle Glifozinene in pazienti con diabete ha mostrato, negli studi sinora effettuati, un potenziale per la prevenzione che è andato anche al di là di ogni ottimistica attesa”.
“Negli ultimi anni si è assistito a una vera e propria esplosione di nuove classi di farmaci antidiabetici, che hanno meccanismi d’azione molto diversi tra loro e a volte potenzialmente sinergici – dichiara Domenico Mannino, Presidente AMD – Lo scopo di questo convegno è fare il punto sul loro profilo di sicurezza ed efficacia, coinvolgendo, oltre ai diabetologi, anche specialisti cardiologi e nefrologi, per valutare insieme in che modo le evidenze dei recenti studi clinici si possano tradurre nelle scelte terapeutiche della pratica clinica”.