L’Associazione Medici Diabetologi incontra i colleghi della medicina del territorio per confrontarsi sulle più recenti opzioni terapeutiche antidiabete e su come migliorare la comunicazione e l’engagement con i pazienti
Roma, 28 giugno 2018 – Per molti di loro la cura non funziona, eppure il 30% dei pazienti diabetici resta in una situazione di stallo, dove terapie a base di farmaci ipoglicemizzanti potenzialmente pericolosi non lasciano il passo ai medicinali innovativi, non solo più efficaci ma anche più maneggevoli e sicuri.
L’armamentario farmacologico oggi disponibile è molto ampio e un suo impiego più appropriato permetterebbe di ridurre il pesante impatto socioeconomico del diabete, patologia che interessa l’8% della popolazione italiana, tra le principali cause di dialisi, amputazione degli arti, cecità ed eventi cerebro e cardiovascolari.
Con l’obiettivo di aggiornare in proposito lo specialista, così come il medico di medicina generale (MMG), e di rinsaldare il fondamentale gioco di squadra tra i due, l’Associazione Medici Diabetologi (AMD) lancia un nuovo ciclo di incontri formativi: “I bisogni di cura delle persone con diabete tra Inerzia Terapeutica e Alleanza con il MMG”.
Dopo il primo appuntamento, previsto a Roma il 29 e il 30 giugno, il progetto proseguirà con le tappe di Taranto (13 ottobre), Bologna (19 ottobre), Venezia (16 novembre), Salerno (12 gennaio 2019) e Torino (2 febbraio 2019).
“L’approccio terapeutico al diabete tipo 2, negli ultimi anni, si è arricchito di nuove opzioni – sottolinea Domenico Mannino, Presidente AMD – Alle categorie tradizionali di farmaci, sulfoniluree e metformina, si sono aggiunti gli inibitori dell’assorbimento intestinale dei carboidrati, le glinidi, i glitazoni, gli incretino-mimetici (analoghi del GLP-1 e inibitori del DPP-IV), gli inibitori del riassorbimento tubulare del glucosio (SGLT2 inibitori) e le nuove insuline. A oggi, i farmaci più recenti (quelli con le maggiori prove di efficacia, durability e sicurezza) sono prescrivibili esclusivamente dallo specialista. Il medico di medicina generale è comunque coinvolto nel percorso di cura, non solo in qualità di componente del team di assistenza alla persona con diabete, ma anche come primo contatto con il SSN, punto di accesso di ogni PDTA, e quindi come responsabile del follow-up del paziente. Pertanto, è indispensabile che i medici di famiglia siano aggiornati sull’intero armamentario terapeutico per il trattamento del diabete tipo 2, così da conoscerne le indicazioni, per avviare i pazienti alla prospettiva di un diverso trattamento, gli effetti avversi (comunque possibili) e le interazioni farmacologiche”.
“Nel diabete di tipo 2 la personalizzazione della terapia è diventata essenziale, date le diverse caratteristiche dei pazienti e l’ampia gamma di farmaci oggi disponibili – evidenzia Graziano Di Cianni, Direttore UOC Diabetologia e Malattie del Metabolismo dell’Asl Toscana Nord Ovest – La scelta della cura più appropriata deve tenere conto di diversi aspetti, ad esempio l’età della persona. Il trattamento per un giovane di 50-60 anni neo diagnosticato sarà ben diverso da quello per un anziano fragile con aspettativa di vita minore. Va considerata, inoltre, la durata della patologia, la presenza di complicanze, le comorbidità, l’eventuale insufficienza renale, la storia di eventi cardiovascolari. In base a tutti questi elementi vengono stabiliti specifici obiettivi metabolici e terapie ad hoc. Si parla sempre più spesso, infatti, di medicina di precisione. Questo concetto deve essere compreso dagli specialisti quanto dai medici di famiglia che devono lavorare sempre più in sinergia”.
“A livello territoriale lo strumento migliore per far interagire i diversi professionisti coinvolti nella cura del diabete è il Percorso Diagnostico Terapeutico Assistenziale (PDTA) – illustra Gerardo Medea, Medico di medicina generale e Responsabile dell’Area Metabolica e Diabete della Società Italia di Medicina Generale SIMG – Diabetologi e medici di famiglia stanno collaborando alla definizione del PDTA ideale, che dovrà essere flessibile per rispondere alle esigenze dei pazienti e del territorio e per adattarsi ai diversi modelli che le Regioni si stanno dando in merito alla gestione delle patologie croniche. Dovrà, inoltre, focalizzarsi su 3 momenti fondamentali: la diagnosi, il followup e la fase finale della fragilità; in corrispondenza di ciascuno step, il PDTA deve individuare gli snodi procedurali e le azioni di competenza dei medici di famiglia e degli specialisti, in modo da graduare correttamente l’intensità dell’intervento. A questo proposito sono già state individuate 7 tipologie di pazienti: dalla prima, che comprende quelli più critici, con eventi acuti e complicanze importanti, gestiti prevalentemente in ospedale o da team di multispecialisti, si passa a tipologie intermedie con livelli minori di complessità e scompenso, fino alla settima dove prevale la gestione della medicina di famiglia sul territorio”.
“In Campania il dialogo tra diabetologia e medicina generale ha 20 anni di storia – spiega Geremia Romano, Presidente AMD Campania – Nel 2013 questa collaborazione è stata favorita dalla pubblicazione dell’Accordo Integrativo Regionale per la Medicina Generale, che ha codificato il ruolo del medico di famiglia nella gestione della persona con diabete e ha incentivato la riorganizzazione della diabetologia territoriale, per passare da ambulatori sparsi ai primi centri antidiabete. L’anno scorso AMD Campania ha avviato un progetto di collaborazione tra specialisti e MMG per la condivisione dell’innovazione terapeutica, date le novità introdotte negli ultimi 10 anni, ossia farmaci sicuri e in grado di ridurre le complicanze cardiovascolari del diabete (le più frequenti soprattutto in Campania). Si tratta di una serie di convegni durante i quali i diabetologi raccontano ai colleghi della medicina generale la loro esperienza con queste recenti terapie. Il primo evento si è già svolto a Napoli, ne seguiranno altri nelle quattro provincie campane e l’auspicio è che il format possa capillarizzarsi sempre più a livello di distretti sanitari. Questa collaborazione ha fatto sì che i medici di famiglia stiano iniziando a segnalare ai diabetologi i pazienti che hanno maggiore necessità dei farmaci di nuova generazione ed è particolarmente importante alla luce di un’estensione della possibilità di prescrivere tali farmaci anche da parte degli stessi MMG”.
Il nuovo progetto formativo di AMD intende quindi fornire una fotografia aggiornata dell’approccio terapeutico al diabete tipo 2 tra farmaci ‘nuovi’ e ‘antichi’, e sensibilizzare i partecipanti su due importanti problemi: l’inerzia terapeutica da parte dei medici, che consiste nel mancato riadattamento della cura quando questa non risulti efficace, e la non aderenza alle cure da parte dei diabetici, la cui compliance nell’assunzione dei farmaci,secondo gli ultimi dati Osmed, è pari a circa il 60%, con conseguenti costi a carico del SSN dovuti a quel 40% di pazienti meno ‘disciplinati’.
“Per gli specialisti e i medici di famiglia impegnati nella gestione della patologia diabetica – conclude Mannino – conoscere e saper impiegare correttamente tutte le opzioni farmacologiche disponibili non basta. Il raggiungimento degli obiettivi terapeutici passa necessariamente anche da uno sforzo volto a migliorare la relazione tra il clinico e il suo assistito. Per questo il corso, che alternerà lezioni frontali a momenti di interazione e coinvolgimento attivo dell’uditorio,prevede specifici moduli formativi per lavorare sull’engagement e l’empowerment sia del medico sia del paziente”.