Bari, 27 novembre 2019 – Il 4% dei detenuti è affetto da disturbi psicotici, contro l’1% della popolazione generale. La depressione colpisce il 10% dei reclusi, mentre il 65% convive con un disturbo della personalità. Significativa, infine, la percentuale di popolazione carceraria che soffre di disturbo da stress post-traumatico, con particolare riferimento ai detenuti migranti: si va dal 4% al 20%. È questa l’allarmante situazione nelle carceri italiane, dove la malattia mentale è molto più presente di quel che si pensa.
Da queste necessità nasce il progetto “Insieme – Carcere e salute mentale”, avviato a fine 2016 come risposta concreta all’isolamento e lo shock che la detenzione può veicolare, facendo esplodere o aggravando le malattie mentali.
“Nelle carceri il problema è molto delicato – spiega Enrico Zanalda, presidente della Società Italiana di Psichiatria (SIP) – Sicuramente il tasso di disturbi psichici è molto elevato ma è anche legato a disturbi che non hanno influenza sulla commissione del reato. Legati, piuttosto, alla condizione di detenzione. E quindi vanno trattati dal personale che assiste i detenuti all’interno del carcere”.
Il progetto “Insieme” ha coinvolto 16 istituti penitenziari italiani per 3 anni, giungendo alla pubblicazione di un Percorso diagnostico terapeutico assistenziale (Pdta) per una gestione unitaria e multidisciplinare dei disturbi psichiatrici nelle carceri italiane. Tra le novità del nuovo Pdta c’è la valutazione della salute mentale, il monitoraggio fin dall’ingresso in carcere, l’utilizzo di trattamenti di ultima generazione e i gruppi di sostegno tra i detenuti, oltre che diverse attività educative-culturali.
Il progetto ha un grande valore: “L’aver elaborato un percorso terapeutico-assistenziale volto a identificare modelli di intervento omogenei nelle carceri italiane, pur nel rispetto delle diversità locali”, chiosa Luciano Lucania, presidente della Società Italiana di medicina e sanità penitenziaria (Simspe). Il punto in comune, infatti, da Nord a Sud, è “la privazione della libertà e l’ambiente carcerario stesso. Fonti – continua il presidente Simspe – di grande stress che possono portare allo sviluppo, o all’acuirsi, dei disturbi psichiatrici, con particolare riferimento a quelli psicotici, della personalità e della depressione”.
L’esigenza a cui il progetto mira, dunque, è quella di “una stretta collaborazione fra le diverse figure professionali, che sono coinvolte nella gestione del paziente-detenuto”, commenta Massimo Clerici, presidente della Società Italiana di Psichiatria delle Dipendenze, che aggiunge: “Attraverso il coordinamento delle tre società scientifiche promotrici, il progetto ha puntato molto sulla formazione, non limitandola solo agli operatori sanitari ma estendendola a tutti i soggetti coinvolti nel circuito assistenziale nell’ottica di una piena integrazione carcere-territorio”.
In questo senso, si sono svolti anche “incontri formativi destinati al personale penitenziario che si sono dimostrati fondamentali per il miglioramento della gestione delle malattie mentali”.
La multidisciplinarietà introdotta da “Insieme” fonda le radici nell’analisi della situazione concreta delle carceri italiane, proponendo linee di indirizzo unitarie per la gestione del detenuto affetto da disturbi mentali, sia nel periodo della detenzione che al momento del rilascio, assicurando così la continuità terapeutica-assistenziale.
Il grande passo in avanti fatto da “Insieme”, in questo senso, “è proprio quello di aver prestato attenzione ai bisogni concreti dei detenuti con problemi mentali – commenta Enrico Zanalda – Sia alle necessità cliniche che a quelle giuridiche, in un circolo virtuoso che vede correlati il sistema penitenziario e quello sanitario, l’uno consapevole e rispettoso delle dinamiche dell’altro, con l’obiettivo comune del recupero e del futuro reinserimento del paziente nella società”.
L’evento conclusivo si svolge oggi a Bari, la regione Puglia “è uno dei 9 SAI presenti sul territorio nazionale”, spiega Domenico Semisa, direttore del Dipartimento di Salute Mentale della Asl di Bari, che afferma: “Rispetto alle persone detenute che commettono reati e hanno problemi psichiatrici, noi abbiamo anzitutto l’obiettivo di garantire le cure più adeguate a coloro che sono negli istituti di pena. Sia pazienti psichiatrici che commettono crimini, che detenuti che si ammalano in carcere. Vogliamo garantire loro continuità nelle cure psichiatriche, anche dal momento della scarcerazione alla presa in carico dei servizi territoriali. Per questo il nostro Dipartimento – ribadisce il direttore – vede nel progetto la concretizzazione di quanto ha già iniziato a fare, ormai da più di un anno, con la stesura di protocolli e procedure interni”.
Il progetto, promosso dalla Società italiana di medicina e sanità penitenziaria, con il patrocinio della Società italiana di psichiatria, della Società italiana di psichiatria delle dipendenze, non si chiude con il 2019. Nel 2020, infatti, l’impegno del board scientifico e delle aziende sponsor si concentrerà sulla realizzazione di una nuova fase progettuale in ambito Rems, che identifichi chiaramente un puntuale percorso formativo rivolto agli operatori tutti.