Il numero di persone depresse nel mondo supera l’intera popolazione degli USA, ma 2 malati su 3 non si curano e nella popolazione anziana rischio doppio di patologia e suicidio, eppure le terapie ci sono.
Il Vaticano ospita il Convegno internazionale sulla depressione
Roma, 26 gennaio 2016 – È la più diffusa malattia al mondo e secondo le stime dell’OMS, solo nel 2015 la depressione ha interessato 350 milioni di persone, più dell’intera popolazione degli Stati Uniti (che conta 321 milioni di abitanti) o di Brasile e Messico messi insieme (226 milioni e 127 milioni, rispettivamente). E se non bastasse, ogni anno circa un1 milione di persone si toglie la vita a causa di questa penosa condizione non solo clinica ma dai pesanti risvolti umani e sociali.
La Pontificia Accademia delle Scienze lavora alla diffusione delle conoscenze che possano migliorare il progresso scientifico e la vita delle persone. È l’obiettivo che anima la Conferenza Internazionale dal titolo “Depression: State of the Art 2016” in corso alla Casina Pio IV all’interno della Città del Vaticano, evento realizzato con il contributo non condizionato di Lundbeck. Contesto internazionale in cui saranno presentati i più recenti progressi sia in termini di comprensione della patogenesi della malattia che della presentazione clinica nelle varie forme e intensità, le malattie correlate e, non ultime, le terapie attualmente disponibili.
Non solo serotonina. Negli ultimi anni la “teoria serotoninergica” ha segnato il passo a favore di una migliore comprensione delle complesse interazioni tra i vari neurotrasmettitori, la loro regolazione a livello dei recettori e le sensibilità individuali. Alla più famosa serotonina (H-5T) quindi si sono affiancati, reclamando lo status di “co-protagonisti”, altri neuropeptidi come norepinefrina (NE), dopamina (DA), glutammato e altri fattori neutrofici di derivazione cerebrale (BDNF).
Molteplici forme di presentazione. Endogena, reattiva, atipica, con base stagionale, distimia e melanconia sino alla forme emergenti segnalate in Giappone che sembrano individuare una “depressione moderna” tipica della popolazione giovanile, segnalata già dal 2000 e in attesa di un riconoscimento da parte della comunità scientifica. Sono alcuni dei diversi tipi di questa patologia che può variare in forma, ma anche numero dei sintomi, severità, tipo e durata, variabili che la rendono particolarmente complessa da trattare ma anche da diagnosticare.
Due malati su tre non si curano. I due terzi dei pazienti infatti non sono consapevoli di avere un disturbo trattabile e quindi non cercano aiuto e non ricevono alcun trattamento con il rischio di fare il proprio ingresso nella spirale della cronicità. Semplicemente, queste persone vivono in una condizione di disagio, di sofferenza costante ma non immediatamente riconoscibile. D’altra parte i segni delle forme lievi e moderate possono essere sfumati, graduali, non immediatamente riconoscibili se non da un medico esperto. Lievi flessioni dell’umore, irritabilità, perdita del piacere di fare le cose, disturbi del sonno e dell’appetito, della memoria e dell’attenzione. È come se la vita perdesse sapore, come se tra la persona depressa e la propria esistenza calasse un velo, un filtro opaco che rende meno nitide esperienze ed emozioni. Una condizione che porta con sé anche disturbi somatici: mal di testa, fatica, disturbi digestivi i più frequenti. Sino a vere e proprie comorbidità ossia malattie correlate.
Epidemia nella popolazione anziana. I ratei di patologia nella popolazione anziana parlano di numeri importanti che troppo spesso viene considerata una condizione “normale” della terza età, periodo della vita che guarda al tramonto dell’esistenza in cui un ripiegamento su se stessi e un declino cognitivo più o meno importante viene sottovalutato anche dai sanitari. Nonostante il periodo che segue lo spegnimento delle 65 candeline sia maggiormente costellato da perdite, lutti e cambiamenti di status sociale, la depressione non è affatto una condizione inevitabile. Eppure il 15% degli anziani mostra sintomi depressivi di varia entità e quelli con un disturbo ‘maggiore’ arriva al 3% della popolazione portando con sé un corollario di patologie importanti con un detrimento complessivo della qualità della vita di queste persone che invece potrebbero essere curate efficacemente.
Umore basso ma non solo. La comorbidità con altri disturbi ha numeri precisi, le persone anziane con depressione sono più spesso bersaglio di infarto (succede dal 30 al 60%), malattie coronariche (sino al 44% dei soggetti), cancro (sino al 40%) ma anche una caduta verticale verso le forme di demenza, l’Alzheimer e la Malattia di Parkinson (circa il 40%). Nonostante lo scenario desolante ancora troppo spesso una flessione dell’umore prolungata negli anziani non viene rilevata ma associata a quel decadimento mentale che si considera – a torto – fisiologico. Valutazione complicata da alcuni segni cognitivi della depressione delle persone più adulte che vede una compromissione di memoria, concentrazione e attenzione e che possono essere efficacemente trattati da terapie ad hoc. Anche per evitare situazioni di ricovero, lungodegenza e mortalità precoce dovute proprio al mancato trattamento. Gli anziani infatti si tolgono la vita in misura doppia rispetto ai pazienti giovani.
fonte: ufficio stampa