Intervista al prof. Fabio Mosca, Direttore Dipartimento Materno-Infantile e Direttore U.O. di Neonatologia e Terapia Intensiva Neonatale, Department of Clinical Sciences and Community Health, University of Milan, Fondazione IRCCS Cà Granda Ospedale Maggiore Policlinico
Milano, 8 novembre 2022 – Da tempo stiamo assistendo a un progressivo calo della natalità. Dal 2010 al 2021 si sono verificate circa 155.000mila nascite in meno, toccando nel 2021 il valore più basso di nascite nella nostra storia (399.400), con una riduzione, dal 2019 al 2021, di circa 21.000 nati.
L’aumento delle culle vuote è dovuto a tanti motivi. Un dato importante è il calo del numero delle donne in età fertile, e quindi delle possibili mamme. Dal 2008 al 2020 abbiamo “perso” 1.300.000 donne in età fertile, tra i 15 e i 49 anni, e questa riduzione è responsabile dei ¾ del calo della natalità. Inoltre, ogni donna “fa” pochi figli: la media è oggi, per le donne italiane, di 1,17 figli a testa, un indice di fertilità molto basso, uno dei più bassi al mondo, che spiega l’altro quarto della ridotta natalità.
Nel 2020, con l’arrivo dell’epidemia da Covid-19, la situazione è ulteriormente peggiorata: l’incertezza del momento e del futuro, le difficoltà economiche e lavorative e la paura degli effetti del nuovo virus sulla gravidanza e sul neonato hanno provocato la diminuzione ulteriore delle nascite.
Il crollo della natalità era già in essere, ma quest’anno si è aggiunta anche l’incertezza legata allo scoppio della guerra, che ha accentuato le difficoltà economiche e le preoccupazioni delle famiglie, con un aumento delle fasce povere che certamente non hanno come priorità un progetto di crescita familiare.
Cosa ci dobbiamo aspettare nei prossimi anni?
Gian Carlo Blangiardo, presidente dell’Istat, stima che a fine 2022 i nuovi nati saranno 385-390mila, una previsione che deriva dal calo del 14% nei primi sei mesi del 2022. Dai dati ad oggi disponibili potrebbe esserci un parziale ‘recupero’ nella seconda metà dell’anno, ma certamente assisteremo a un nuovo record negativo.
Il problema della denatalità in Italia deve essere al centro dell’agenda politica, considerandola una assoluta priorità, viste le conseguenze anche sul sistema Welfare e sul Sistema Sanitario.
Nel medio e lungo termine la denatalità, associata all’invecchiamento della popolazione, modificherà il rapporto tra chi lavora e chi non lavora. Oggi il rapporto tra individui in età lavorativa (15-64 anni) e non (0-14 anni e 65 anni o più) è di tre a due, nel 2050 diventerà di 1 a 1, con il 35% delle persone che avranno più di 65 anni.
Inoltre, in conseguenza della denatalità, è dal 1993 che il numero dei morti supera quello dei nuovi nati, con un saldo negativo, nel 2020 in cui sono morte anche a causa del Covid-19 746.000 persone, di 384.000 unità. È come se ogni anno sparisse una città come Firenze, determinandosi così un progressivo calo della popolazione, che a sua volta causerà una progressiva riduzione del Prodotto Interno Lordo, che arriverà a ridursi, secondo le stime dell’ISTAT, del 30% nel 2070, con ovvie difficoltà a garantire welfare e sanità.
Cosa fare per invertire il trend e favorire le nascite?
Bisogna, innanzitutto, constatare con soddisfazione che finalmente anche l’Italia dispone di una legge, il Family act, che affronta in modo strutturato e organico il tema del supporto alle famiglie, presupposto per stimolare l’incremento delle nascite, destinando risorse proporzionali al reddito delle famiglie con figli, stabilendo anche regole più elastiche per favorire la conciliazione tra attività lavorativa della madre e del padre ed il ruolo genitoriale. Attenzione deve essere rivolta anche al favorire un impiego sicuro alle donne in età fertile (oggi siamo il fanalino di coda tra i Paese OECD).
Abbiamo ottimi esempi in Europa (ad esempio Francia, Germania e Polonia) di come adeguate politiche e risorse appropriate possano invertire il trend della denatalità, nella consapevolezza che è ormai un problema così radicato che serviranno numerosi anni per vedere i primi risultati.