Per lenire il dolore della perdita di 100 euro dobbiamo vincerne almeno 225. Il punto sulla neuroeconomia al Forum delle Neuroscienze
Roma, 6 dicembre 2015 – Se il nostro cervello fosse costituito dalla sola corteccia prefrontale, la parte “nobile”, che ci differenzia dagli animali, dove hanno sede le facoltà mentali superiori, potremmo essere sicuri delle nostre scelte economiche e affidarci alle teorie dell’economia neoclassica. Invece dobbiamo fare i conti con le più recenti ricerche delle neuroscienze che solo da pochi anni hanno compreso due elementi fondamentali: uno che le emozioni intervengono a gamba tesa anche nelle cosiddette decisioni razionali, due che il cervello non è poi così affidabile e ci inganna specialmente quando abbiamo a che fare con il denaro.
Se n’è accorto anche l’ex Presidente della Banca Centrale Jean Claude Trichet quando ha affermato: “come responsabile delle politiche in tempo di crisi ho visto che i modelli economici e finanziari a disposizione forniscono un aiuto limitato”, il che si traduce nel fatto che quando abbiamo a che fare con il denaro è bene chiamare in causa gli scienziati. Strana ma ormai consolidata commistione di competenze di cui parla al Forum delle Neuroscienze il prof. Matteo Motterlini, Direttore del CRESA (Centro di Ricerca in Epistemologia Sperimentale e Applicata) e Ordinario di Filosofia della Scienza all’Università San Raffaele dove insegna Economia Cognitiva e Neuroeconomia.
“Le neuroscienze sono la chiave della ‘scatola nera’ del comportamento economico – dichiara Motterlini – Da alcuni anni studi sull’attività cerebrale hanno rivelato che il cervello umano ha risposte precise di fronte a situazioni come perdite, guadagni e rischi e ora sappiamo ad esempio che esiste un fenomeno chiamato ‘avversione alle perdite’ per il quale perdite e guadagni non hanno lo stesso valore: perdere 100 euro fa più ‘male’ rispetto alla gioia di vincere la stessa somma. Inoltre il cervello non ama il rischio e attiva l’amigdala che in maniera del tutto istintiva (e quindi al di sotto del livello della coscienza) porta a prendere decisioni che prediligono la cautela anche quando sarebbero convenienti. L’esempio è noto: se anche voi siete propensi a rifiutare una scommessa che vi dà la possibilità di vincere o perdere 100 euro al 50%, è perché l’amigdala si accende a segnalare proprio l’avversione all’idea di non avere un vantaggio. Perdere infatti genera un vero e proprio dolore emotivo. Tanto che paradossalmente, il pensiero di perdere porta talvolta a rinunciare a vincere”.
Immaginate di partecipare a questo gioco di investimento: potete decidere se tenervi 100 euro oppure investirli. L’investimento consiste nel darli allo sperimentatore, il quale lancerà una moneta: se uscirà testa avrete perso i 100 euro, se uscirà croce ne avrete vinti 250. Il gioco prevede venti turni. Chi ha voglia può farsi i calcoli, ma chiunque noterà che conviene investire essendo l’utilità attesa maggiore per ogni turno”.
Eppure, proprio perché il nostro cervello emotivo è progettato per evitare le perdite, la maggior parte delle persone “sane di mente” (in questo esperimento il 60%) si comporta in modo irrazionale, nel senso che preferiscono guadagnare di meno pur di evitare le potenziali perdite. Non solo, in una situazione che può rivelarsi particolarmente istruttiva riguardo alla vostra reazione di fronte all’andamento dei mercati in tempi recenti, si assiste al fatto che la decisione di investire è fortemente influenzata dall’esito del turno precedente. Dopo una scommessa persa, cioè, la volontà di investire nella successiva diminuisce significativamente. La controprova viene dallo studio di soggetti con lesioni dell’amigdala che di fronte alle decisioni economiche hanno mostrato un comportamento più razionale perché non subiscono l’effetto “emotivo” delle perdite. Le emozioni quindi entrano a gamba tesa nelle decisioni economiche e ci rovinano i piani: per compensare una perdita di, poniamo, 100 euro, dovremmo guadagnarne o vincerne a breve distanza almeno 225.
In uno studio del 2014 su duemila persone intervistate nel corso di un test ‘psico-finanziario’ realizzato proprio dal team del CRESA del San Raffaele sono state analizzate le correlazioni tra stati d’animo e trappole cognitive che possono condizionare le scelte di un investimento. Interessanti i risultati: le donne vivono le perdite economiche in modo più traumatico (22% contro il 16% degli uomini) ma i maschi cadono nella trappola dell’eccessiva fiducia in sé stessi tendendo a sopravvalutare la propria capacità di controllare gli eventi (e di converso, sottovalutando i rischi).
Meccanismo ben noto dalle aziende che studiano strategie per mascherare i pagamenti e quindi diminuire la resistenza a spendere grazie a formule “all inclusive”, pacchetti di servizi e braccialetti di palline per pagare le consumazioni nei villaggi turistici. Le fiches dei casinò sono un esempio lampante ma anche l’uso massivo di denaro elettronico tramite carte di pagamento che ci fanno ‘soffrire’ di meno di fronte ad un pagamento. Spendere una moneta ‘simbolica’ infatti non sembra avere lo stesso “costo” psichico.
La razionalità di cui ci vantiamo quando prendiamo decisioni economiche sarebbe un altro errore di valutazione.
fonte: ufficio stampa