Lo studio del prof. Rossini e dei ricercatori dell’IRCCS San Raffaele pubblicato su “Alzheimer’s & Dementia: The Journal of the Alzheimer’s Association”, la più autorevole rivista a livello mondiale sulle demenze
Roma, 7 aprile 2022 – Un approccio completamente innovativo alla diagnosi precoce delle demenze basato sullo studio della connettività funzionale del cervello attraverso metodiche informatiche. È quanto promette lo studio a firma del prof. Paolo Maria Rossini (Direttore del Centro per Demenze Alzheimer e Disturbi Cognitivi dell’IRCCS San Raffaele), dell’ing. Francesca Miraglia (ricercatrice del Brain Connectivity Laboratory del medesimo istituto) e del prof. Fabrizio Vecchio (ricercatore del Brain Connectivity Laboratory presso l’IRCCS San Raffaele e professore di Fisiologia dell’Università e-Campus) pubblicato sull’autorevole rivista internazionale “Alzheimer’s & Dementia: The Journal of the Alzheimer’s Association” (Impact Factor=21.566).
La demenza nelle sue varie forme (la più nota la malattia di Alzheimer) rappresenta una delle emergenze sanitarie e sociali più gravi a livello globale legata all’invecchiamento della popolazione.
“In effetti – spiega Rossini – l’Alzheimer non si sviluppa in tempi rapidi poiché i meccanismi della neurodegenerazione (ad esempio l’accumulo di placche di beta amiloide nello spazio tra i neuroni e dei grovigli neurofibrillari dentro i neuroni) agiscono progressivamente per diversi anni prima della comparsa dei sintomi. Esiste dunque un lungo periodo in cui la malattia è già presente, ma non viene contrastata perché non si manifesta in modo evidente. Una parte importante dello stadio preclinico è rappresentato proprio da quella condizione che gli anglosassoni definiscono Mild Cognitive Impairment (MCI) che – secondo numerosi studi epidemiologici – contiene al suo interno circa metà di soggetti che non si ammaleranno mai di demenza, mentre la rimanente metà è già di fatto in una forma prodromica di malattia che diventa evidente nel corso di un follow-up di 3-5 anni”.
Teniamo presente che oggi in Italia abbiamo una popolazione di circa 750.000 MCI da cui verosimilmente provengono i circa 100.000 nuovi casi di demenza diagnosticati ogni anno. MCI è quindi considerata una popolazione ad alto rischio che merita particolare attenzione per la validazione dei metodi di diagnosi precoce tramite i quali identificare i soggetti con elevata probabilità di sviluppare la malattia e ad escludere invece coloro che hanno un rischio basso o nullo.
La motivazione di base per questa urgenza risiede nel fatto che prima vengono corretti/eliminati i fattori di rischio modificabili (ad esempio obesità, sedentarietà, scarsa attività cognitiva, disturbi endocrini, cardiaci, diabete, ipercolesterolemia, etc.) più tardi esordirà la malattia e meno aggressiva sarà la sua evoluzione. Questo approccio è possibile e fattibile da subito anche in assenza di terapie in grado di modificare l’andamento naturale della malattia.
“Il nostro articolo – puntualizza il prof. Rossini – avanza la proposta (e la sostiene sulla base di nostri risultati e di un’approfondita revisione della letteratura scientifica internazionale) di utilizzo di moderni strumenti di analisi basati sullo studio della connettività funzionale del cervello attraverso metodiche informatiche che includono la teoria dei grafi e metodi di apprendimento automatico (machine learning e di intelligenza artificiale). Tali strumenti applicati all’analisi di diversi biomarcatori neuropsicologici, genetici, strutturali, flusso/metabolici e dei segnali elettrici del cervello (elettroencefalogramma, EEG) permettono di raggiungere una diagnosi precoce e fare una prognosi appropriata per distinguere un invecchiamento cerebrale fisiologico da uno patologico”.
L’approccio innovativo descritto da Rossini e colleghi potrebbe inoltre fornire nuove informazioni sui meccanismi alla base dei processi d’invecchiamento del cervello legati all’età e ottenere una valutazione individuale/personalizzata per programmare i migliori trattamenti farmacologici, non farmacologici e riabilitativi, nonché per interventi sullo stile di vita che possano ridurre il rischio di demenza. Una proposta di una ‘via italiana’ che sta suscitando moltissimo interesse a livello internazionale.
Questo studio si allinea alla ‘filosofia’ di ricerca sanitaria alla base del progetto INTERCEPTOR finanziato da AIFA e dal Ministero della Salute e del progetto europeo Artificial Intelligence-MIND, confermando il ruolo d’avanguardia del nostro Paese in questo ambito.