Dal 2016 al 2019 un articolo scientifico su cinque non ha rispettato la prescrizione della condivisione dei dati genomici e metagenomici pubblicati o utilizzati in uno studio. Lo rivela una indagine del Consiglio nazionale delle ricerche pubblicata sulla rivista “PLoS Biology” e “Plos Magazine”. La pandemia di SARS-CoV-2 invece ha ricordato l’importanza della condivisione. Le irregolarità si registrano nelle riviste più tecnologico/applicative e in quelle che pubblicano una grande mole di articoli
Roma, 17 aprile 2020 – Un articolo scientifico su cinque, indipendentemente dal settore di studio, nel periodo tra il 2016 e il 2019, non ha rispettato la prescrizione della condivisione dei dati genomici e metagenomici pubblicati o utilizzati nello studio, creando un danno al progresso scientifico globale e alla credibilità della scienza.
È quanto si evince da una ricerca condotta dal Gruppo di ecologia molecolare (Meg) dell’Istituto di ricerca sulle acque del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Irsa) di Verbania, supportata da molti studiosi impegnati nella lotta all’antibiotico-resistenza.
Un campo nel quale questo problema ne crea altri, in quanto limita la conoscenza delle caratteristiche dei tanti e diversi geni che conferiscono le resistenze agli antibiotici, ponendo un gravissimo problema per il futuro della medicina moderna.
Il risultato dell’indagine è pubblicato sulla rivista PLoS Biology e su PloS Magazine (https://journals.plos.org/plosbiology/article?id=10.1371/journal.pbio.3000698).
“La condivisione dei dati genomici e metagenomici è una buona pratica ed è obbligatoria da più di un decennio per consenso scientifico, supportato sia dalle azioni di ‘open data’ di molti governi che dalle publishing policies di tutti i principali editori, poiché permette di valutare meglio la qualità biologica, bioinformatica e statistica delle analisi prodotte e, consentendo l’accesso al dato originale, di fugare il dubbio di errate assunzioni – spiega Gianluca Corno del Cnr-Irsa, tra gli autori dello studio – Non solo, questa tipologia di dati, pur essendo presentati in pubblicazioni, sono a volte utilizzati nello studio solo in piccolissima parte, di solito intorno all’1-2%, e se non vengono depositati in database pubblici si perde un’enorme mole di conoscenza”.
Il trend degli ultimi anni ha assunto un andamento negativo, tant’è che nel lavoro pubblicato su PLoS Biology i ricercatori Cnr e gli altri coautori, gli editori e revisori della rivista, tra i quali Craig Venter e Holly Bic, richiamano il mondo scientifico ad una maggiore accuratezza e cooperazione.
“Un articolo senza questi dati non permette di individuare l’eventuale errore, malafede e/o superficialità di tutti i soggetti coinvolti nella pubblicazione – aggiunge Corno – Tale comportamento coinvolge le riviste in misura diversa, con picchi di irregolarità in quelle più tecnologico/applicative o che pubblicano una grande mole di articoli, a conferma di una competizione spinta all’estremo, più quantitativa che qualitativa”. Il cosiddetto “publish or perish”.
“La pandemia di Sars-CoV-2 ci ha invece drammaticamente ricordato l’importanza della condivisione dei dati metagenomici: proprio grazie alla pronta disponibilità in tutto il mondo del genoma del Coronavirus causa del Covid-19 sequenziato in laboratori cinesi, molti centri di ricerca a livello mondiale hanno potuto prontamente iniziare a studiare il virus, le sue caratteristiche e a lavorare su vaccini e farmaci specifici – conclude Corno – La mancata cooperazione, invece, arreca danni enormi allo sviluppo del sapere, viene meno la possibilità di progredire insieme in modo esponenziale, sommando capacità e conoscenze. Solo attraverso risposte globali e cooperative si può far fronte alla richiesta di conoscenza che giunge dal mondo globalizzato”.