Prof. Claudio Mastroianni, Vice Presidente SIMIT: “La medicina moderna ha fatto passi da gigante. Protesi e dispositivi che vengono impiantati possono rappresentare un terreno fertile per lo sviluppo di microrganismi su cui gli antibiotici hanno difficoltà a penetrare. I nuovi farmaci biologici inoltre possono riattivare infezioni latenti”
Roma, 15 dicembre 2020 – La diagnosi precoce di Covid-19 è una delle sfide più impegnative con le quali si sta confrontando la comunità medico-scientifica. Recentemente, sulla prestigiosa rivista Clinical Infectious Diseases è stata pubblicata una significativa esperienza, il RESILIENCY Study, riguardante le caratteristiche cliniche e laboratoristiche dei pazienti giunti in Pronto Soccorso per febbre e/o insufficienza respiratoria acuta nel sospetto di Covid-19.
Questa ricerca è nata dalla collaborazione della “Sapienza” di Roma con il Policlinico Casilino di Roma ed è stata diretta e coordinata dal dott. Alessandro Russo, dalla prof.ssa Gabriella d’Ettorre e dal prof. Claudio Mastroianni, Vice Presidente SIMIT.
“Questo studio ha evidenziato alcuni fattori peculiari associati alla diagnosi di Covid-19: la tosse secca, la febbre da oltre 72 h, la linfocitopenia e la grave insufficienza respiratoria (come dimostrato all’emogasanalisi dal rapporto PaO2/FiO2 <250) – ha spiegato il prof. Mastroianni – Questi fattori hanno differenziato in maniera significativa i pazienti con diagnosi confermata di Covid-19 al tampone nasofaringeo da quelli che sono stati ricoverati per altre eziologie. Tra le cause di eziologia non Covid-19 le più frequenti sono risultate l’embolia polmonare, la polmonite batterica e lo scompenso cardiaco acuto. Questa ricerca rappresenta un importante avanzamento nella conoscenza delle caratteristiche dell’infezione da SARS-CoV-2 nei primi giorni di malattia e al momento del ricovero in Ospedale. Il lavoro appena pubblicato ha riportato i dati della prima fase dello studio, relativa alla “prima” ondata epidemica. Il RESILIENCY study è tuttora in corso e analizzerà anche le caratteristiche dei pazienti con sospetto Covid-19 durante la “seconda” ondata”.
La Rete Infettivologica pronta ad affrontare la nuova fase della pandemia – Il Covid-19 non sarà un ricordo che passerà rapidamente. Il 2021 richiederà ancora un impegno significativo nella lotta a questa malattia. La campagna vaccinale varata in queste ore dai decisori politici, la più ampia della storia, ridurrà i rischi, ma non porterà rapidamente alla conclusione della pandemia.
“Questi mesi ci hanno fornito un importante insegnamento su come migliorare la Sanità pubblica italiana e sulla nuova era dell’infettivologia che ci troviamo ad affrontare – ha sottolineato il prof. Massimo Andreoni, Direttore Scientifico SIMIT – La globalizzazione infatti ha dimostrato che ogni malattia infettiva può espandersi rapidamente fino a raggiungere ogni angolo del Pianeta: servono dunque azioni più mirate e un piano pandemico che ci permetta un’immediata reattività. Inoltre, è opportuno costruire una nuova progettualità che riguardi soprattutto le vaccinazioni, che sono l’arma principale di prevenzione. Proprio su questo la SIMIT è molto impegnata e guarda oltre il vaccino anticovid: stiamo infatti elaborando un documento sulle vaccinazioni nell’adulto e soprattutto nei soggetti fragili”.
Le infezioni emergenti – Le malattie infettive del XXI secolo sono profondamente influenzate dai fenomeni ambientali, climatici, sociali, demografici che già hanno portato a relativizzare il concetto di malattia tropicale, tanto che malattie come Dengue, Chikungunya, West Nile, Zika sono ormai stabilmente presenti anche alle nostre latitudini, suggerendo agli infettivologi un maggiore studio delle epidemiologie locali e una crescente collaborazione con altre discipline, inclusa la medicina veterinaria. Una potenziale minaccia risiede però anche negli stessi progressi della ricerca scientifica.
“La medicina moderna ha fatto passi da gigante – ha evidenziato il prof. Claudio Mastroianni, Vice Presidente SIMIT – Oggi vengono impiantati biomateriali in tutto il corpo: protesi ortopediche, cardiache, valvolari, mammarie, a livello urogenitale; dispositivi generatori sono utilizzati nel cervello per stimolare l’attività cerebrale nei pazienti affetti da Parkinson. Tutti questi dispositivi curano i pazienti dalle rispettive patologie, ma rappresentano un pabulum, un terreno fertile per lo sviluppo di microrganismi, il cosiddetto biofilm, in cui gli antibiotici hanno difficoltà a penetrare. Esistono inoltre nuovi potenti farmaci biologici per chi soffre di malattie reumatiche, malattie infiammatorie croniche, patologie onco-ematologiche: queste terapie modificano la risposta immunitaria, provocando il rischio di riattivare infezioni latenti, come la tubercolosi, epatiti virali, infezioni erpetiche. Il ruolo dell’infettivologo dunque acquisisce ancora maggior rilievo nell’approccio al paziente e nel riconoscimento delle infezioni”.
I temi caldi dell’Infettivologia al XIX Congresso SIMIT – Le sfide dell’infettivologia, sono al centro del XIX Congresso SIMIT – Società Italiana di Malattie Infettive e Tropicali, in corso in modalità online sino a mercoledì 16 dicembre, e presieduto dal Prof. Pierluigi Viale, Dipartimento di Scienze Mediche e Chirurgiche Alma Mater Studiorum Università di Bologna, e dal Dott. Francesco Cristini, Unità Operativa Malattie Infettive Ospedale di Rimini e Forlì/Cesena AUSL Romagna. Grande attenzione per l’evoluzione della Pandemia di Covid-19 e per le nuove minacce, ma senza dimenticare le infezioni ben note ancora da fronteggiare.
“Tra tante emergenze, l’AIDS resta sicuramente una priorità – ha sottolineato il prof. Andreoni – L’HIV oggi si può controllare, garantendo al paziente una qualità di vita molto simile al resto della popolazione, e si può ridurre la viremia fino ad azzerarne il rischio contagio. Restano però aperte numerose questioni, dalle nuove infezioni che si verificano ogni anno alla gestione del paziente cronico, senza dimenticare il preoccupante dato che molte diagnosi avvengono in uno stato avanzato dell’infezione. Un’altra emergenza è l’Epatite C: l’OMS ha dato l’ambizioso traguardo di eliminazione del virus dal nostro Paese entro il 2030, obiettivo possibile grazie ai nuovi farmaci DAA in grado di eradicare il virus in maniera definitiva, in poche settimane e senza effetti collaterali. La pandemia ha rallentato screening e trattamenti, che dovranno riprendere nei prossimi mesi, in considerazione anche dell’attuazione del Decreto attuativo che ha previsto un importante finanziamento per individuare quelle circa 300mila persone ignare di essere affette dalla malattia. Infine, il tema in prospettiva più preoccupante, è quello delle infezioni da germi multiresistenti, che in Italia provocano circa 11mila decessi all’anno. È un aspetto prioritario della sanità pubblica che impone l’esigenza di un rafforzamento dei progetti di infection control e di antimicrobial stewardship, finalizzati a ridurre il numero di infezioni a livello nosocomiale e a migliorare le strategie di utilizzo dell’antibiotico terapia”.