Roma, 25 marzo 2020 – Di fronte al dramma sanitario e sociale dovuto alla pandemia da Covid-19 è tempo di scelte precise in materia di allocazione di protezioni e risorse. La priorità va data al Servizio sanitario pubblico ed ai servizi pubblici in generale. Si metta da parte la disastrosa ideologia del “meno Stato più privato” che in questa fase sta tragicamente dimostrando tutti i suoi limiti. Si eviti una distribuzione delle risorse a pioggia, oggi la priorità è la protezione pubblica, il Paese deve ripartire dai diritti e dai servizi pubblici da garantire a tutti i cittadini.
Occorre investire subito nel Servizio sanitario nazionale, ignobilmente tagliato in questi anni, e nei servizi pubblici essenziali per garantire specie ai più deboli la fruibilità dei bisogni fondamentali. Mettere in sicurezza il Paese riformando la Sanità e superando l’esasperato decentramento regionale.
L’emergenza da Covid-19 ha prodotto il differimento delle cure per tutte le altre patologie, di grande impatto sociale ed epidemiologico, allungando inevitabilmente le già intollerabili liste d’attesa, si sta accumulando una mole enorme di lavoro da svolgere nei prossimi mesi e anni pena una catastrofale mancanza di cure.
È chiaro che gli effetti sanitari diretti ed indiretti della crisi da Covid-19 si prolungheranno per molto tempo. Mancano almeno 8 miliardi per riportare il finanziamento del SSN al 7% del PIL cioè sullo standard medio europeo ante contagio.
Senza dimenticare gli altri servizi pubblici strettamente collegati, siamo tra i Paesi con meno dipendenti pubblici, con tutto quello che ne consegue in termini di protezione sociale, accesso ai servizi, sicurezza, rispetto delle regole, contrasto alle forme di criminalità tra cui va annoverata a pieno titolo l’evasione fiscale.
La crisi da Covid-19 ha evidenziato un deficit formativo grave soprattutto nella disponibilità e nell’uso delle tecnologie, evidente negli ospedali ma non meno significativo nei servizi territoriali e nei dipartimenti di prevenzione, mentre il ricorso allo smart working è gravemente limitato rispetto alla media europea e questo gap può compromettere la ripresa.
Occorrono Amministrazioni agili, capaci di prendere provvedimenti rapidi a supporto delle iniziative necessarie senza essere terrorizzate da burocrazie e procedure figlie del sospetto sistematico e della sfiducia nelle Istituzioni.
Non c’è più tempo per la medicina difensiva, ma anche per l’amministrazione e la politica difensiva. Le assunzioni non servono solo per il coronavirus, servivano già prima e serviranno nei prossimi anni, evitando il ricorso a nuovo precariato e avendo attenzione alla necessaria qualificazione del personale assunto. Le assunzioni sono strategiche e non congiunturali per tornare come prima, occorre evitare gli errori ormai acclarati.
Proteggere i dipendenti pubblici partendo dai sanitari per ripartire velocemente, la priorità è aiutare chi può aiutare, nell’interesse di tutti.
In questo momento critico bisogna ridurre in ogni modo il contagio, fermare i lavoratori delle imprese e delle filiere non essenziali, evitare ogni possibile spreco di DPI per i lavoratori di attività che possono essere sospese, requisire tutti i DPI disponibili e consegnarli ai sanitari esposti al rischio. Fermare la routine è essenziale ma altrettanto fondamentale è mettere in condizione di lavorare in sicurezza chi non si può fermare per bloccare la pandemia e curare chi sta male.
Questo farà la differenza.