Un team di fisici dell’Università di Firenze e dell’Accademia di Scienze di Pechino ha preso spunto da un coleottero asiatico – famoso per il suo candore eccezionale – per creare un materiale artificiale di brillantezza addirittura superiore, realizzato a temperatura e pressione ambiente e con caratteristiche che lo possono rendere adatto a molteplici utilizzi. La ricerca, già online, è stata selezionata tra i lavori che riceveranno una copertina sul numero di Advanced Functional Materials del prossimo 4 giugno
Firenze, 30 maggio 2019 – Cinque anni fa un piccolo insetto, un coleottero asiatico del genere Cyphochilus, ha stupito il mondo dei ricercatori. Una ricerca internazionale pubblicata su Scientific Reports e guidata dai ricercatori del Laboratorio Europeo di Spettroscopia Non lineare (LENS) dell’Università di Firenze, rivelò che il segreto del candore eccezionale del coleottero è da ricercare nella particolare struttura che riveste l’insetto. Il suo corpo è infatti ricoperto da microscopiche scaglie di un bianco particolarmente intenso pur avendo uno spessore estremamente minore di quello, ad esempio, di un foglio di carta. Rispetto ad un semplice foglio di carta, infatti, le scaglie sono organizzate internamente con una fitta rete di filamenti sottilissimi, centinaia di volte più sottili di un capello, che riescono a diffondere la luce in modo molto efficiente.
Dal 2014 ad oggi, molti gruppi di ricerca in tutto il mondo hanno provato a ricreare il bianco del coleottero imitandone la struttura, ma i risultati pubblicati fino ad ora hanno mostrato materiali ottenuti solo mediante tecniche complesse (ad esempio tramite gas ad altissima pressione o trattamenti agli ultrasuoni) che, oltre a rendere più difficile la fabbricazione su larga scala, sono certamente diverse dai meccanismi che guidano la crescita della struttura dell’insetto.
Una procedura che, al contrario, avviene spontaneamente in condizioni ambientali e ha portato alla realizzazione di un bianco addirittura superiore all’esempio naturale, è stata formulata da un team composto da ricercatori dell’Ateneo (Dipartimento di Fisica e Astronomia, Laboratorio Europeo di Spettroscopia Non lineare-LENS), insieme all’Istituto Nazionale di Ricerca Metrologica (INRiM) e all’Accademia delle Scienze di Pechino (National Laboratory for Molecular Sciences, Laboratory of Polymer Physics and Chemistry, Institute of Chemistry) [“Biomimetic Polymer Film with Brilliant Brightness Using a One-Step Water Vapor-Induced Phase Separation Method” in Advanced Functional Materials, doi:10.1002/adfm.201808885].
Come nel caso del rivestimento del coleottero, che è composto da un polimero chiamato chitina, anche per il nuovo materiale è stato scelto di usare un polimero – il polistirene – più comunemente detto polistirolo e conosciuto dai più nella sua forma espansa. La struttura realizzata dai ricercatori è ottenuta a temperatura ambiente in un’atmosfera ricca di vapore acqueo tramite un processo noto come “separazione di fase”, cioè la separazione che avviene spontaneamente in una miscela di polistirene dissolto e acqua.
“Per capire meglio – spiegano i componenti Unifi del team, Lorenzo Pattelli e Diederik Wiersma – può essere utile pensare all’esempio di un semplice miscuglio fra acqua e olio”. I due liquidi non sono amalgamabili fra loro, tanto che subito dopo averli mescolati, l’olio forma delle gocce isolate in sospensione nell’acqua, che poi si riuniscono insieme, separando di nuovo completamente l’acqua e l’olio (separazione di fase).
“Tra lo stato iniziale della miscela e quello finale completamente separato – continuano i ricercatori – esistono tutta una gamma di stati intermedi in cui le perline di olio cominciano a fondersi formando via via strutture sempre più estese. Seguendo questo esempio, potremmo dire che la miscela tra acqua e polistirene si comporta come quella tra olio e acqua: uno dei risultati della ricerca è stato quello di riuscire a regolare le dosi dei due materiali e la velocità di evaporazione dell’acqua per far sì che il processo di separazione di fase si arresti ad uno stato intermedio, dove la separazione non è ancora avvenuta completamente e le due fasi formano una struttura particolarmente interessante dal punto di vista ottico”.
Il risultato, una volta evaporata completamente l’acqua, è una architettura di polistirene composta da una rete di microscopici filamenti e tunnel collegati fra loro: una struttura cosiddetta ‘bicontinua’, cioè in cui sia i tunnel che i filamenti attraversano tutto il materiale intrecciandosi, ma senza interruzioni.
“Questo tipo di struttura – commentano Pattelli e Wiersma – è particolarmente interessante anche perché ad oggi, a livello industriale, il colore bianco viene tipicamente ottenuto con l’aggiunta di nanoparticelle che, se inalate, sono potenzialmente dannose per la salute, mentre nel nostro caso abbiamo una struttura unitaria non composta da parti separabili. Queste caratteristiche fanno ipotizzare per il polistirene super bianco una molteplicità di utilizzi: dalla produzione di vernici più ecologiche a tessuti termoregolanti, dalla realizzazione di pannelli solari più efficienti a quella di schermi ultrasottili e flessibili”.
I ricercatori – che tramite misure ottiche hanno calcolato la bianchezza e la brillantezza del nuovo materiale confrontandola con quella del coleottero e giudicandola addirittura superiore – hanno anche scoperto il suo potenziale carattere super-idrofilico.
“Se immerso in acqua, ma basta anche il vapore acqueo contenuto in un respiro – concludono i ricercatori –, il materiale diventa temporaneamente trasparente, suggerendo altre possibili applicazioni per sensori di umidità o per monitorare otticamente l’espirazione”.