Dallo studio dell’IRCCS “Burlo Garofolo” emerge che dopo la prima dose di vaccino questi anticorpi sono prodotti in buona quantità e si ritrovano sia nel siero materno sia nel latte, per poi calare rapidamente, riaumentare dopo la seconda dose e persistere nel tempo
Trieste, 11 febbraio 2022 – Ci sono, e quanto a lungo persistono nel siero materno gli anticorpi indotti dal vaccino? Questi anticorpi passano nel latte durante l’allattamento? Sono le domande che in questi mesi di pandemia si sono posti medici e ricercatori e alle quali ha voluto rispondere uno studio condotto nel Dipartimento Materno Neonatale dell’IRCCS Materno Infantile “Burlo Garofolo” di Trieste in collaborazione con la Struttura di Diagnostica Avanzata Microbiologica Traslazionale dello stesso Istituto diretta dalla prof.ssa Manola Comar e i cui confortanti risultati sono stati pubblicati dalla rivista internazionale Vaccines.
“Abbiamo colto l’occasione – spiega il prof. Giuseppe Ricci, direttore della Clinica Ostetrica e Ginecologica del Burlo – della presenza di tante donne in età fertile vaccinate precocemente perché lavoratrici della Sanità. La recente pandemia sta infatti richiedendo proprio a loro un grosso sforzo lavorativo associato a preoccupazioni per la propria salute e per quella dei loro bambini. Lo studio, poi, è stato esteso anche ad altre mamme della nostra città. Per le donne la ripresa del lavoro, infatti, spesso si associa alla scelta se e come proseguire l’allattamento ed era quindi importante capire se e come gli anticorpi indotti dal vaccino nelle neomamme persistessero nel latte materno e potessero, quindi, trasmettersi ai neonati”.
Considerando che le mamme che hanno partecipato allo studio in quanto medici, ostetriche e infermiere, attive in ospedale erano ad alto rischio di contrarre l’infezione e dato che per i bambini più piccoli non esiste altra forma di protezione dall’infezione, i curatori della ricerca dell’IRCCS triestino si sono, poi, chiesti se possa essere utile proseguire l’allattamento nel tempo.
Gli studi pubblicati fino a prima della realizzazione di quello del Burlo, infatti, avevano riguardato in gran parte la risposta anticorpale delle donne durante l’infezione e solo pochissimi avevano studiato la risposta anticorpale nel latte materno dopo la seconda dose vaccinale. Lo studio condotto al Burlo, invece, si è protratto nel tempo, confermando la presenza nel latte di anticorpi IgG specifici anche dopo quattro mesi dalla seconda dose vaccinale.
“Le IgG sono immunoglobuline – chiarisce ancora il prof. Ricci – cioè anticorpi che esplicano la loro azione di difesa dalle malattie attraverso il sistema ematico (il sangue). In generale, era già nota la presenza delle IgG nel latte materno, ma non si sapeva se quelle prodotte in seguito alla vaccinazione contro il Covid fossero a loro volta presenti. Lo studio attuale lo conferma: le IgG anti-Covid prodotte dal vaccino sono presenti nel latte materno. La cosa è particolarmente rilevante dato il loro ruolo cruciale nell’immunità neonatale”.
Dallo studio del Burlo emerge che dopo la prima dose di vaccino questi anticorpi sono prodotti in buona quantità e si ritrovano sia nel siero materno sia nel latte, per poi calare rapidamente, riaumentare dopo la seconda dose e persistere nel tempo. La conferma della presenza delle IgG nel latte a distanza anche di quattro mesi dal vaccino, certificata dalla ricerca dell’IRCCS triestino, ha indotto molte donne a protrarre l’allattamento al seno, confermando che la condivisione delle informazioni scientifiche può modificare i nostri comportamenti.
Lo studio del Burlo, inoltre, ha coinvolto le madri con competenze sanitarie nella osservazione dei loro bambini nelle giornate immediatamente successive alle vaccinazioni, mettendo in essere, attraverso un questionario condiviso, una sorveglianza attiva delle risposte al vaccino da parte dei piccoli allattati. Questa ulteriore parte della ricerca ha mostrato come nessun bambino di quelli osservati abbia presentato disturbi di alcun genere. “Pur trattandosi di uno studio dai numeri contenuti – conclude il direttore della Clinica Ostetrica e Ginecologica del Burlo – il dato è rassicurante”.