Prof. Antonio Chiaretti, associato di Pediatria all’Università Cattolica Campus di Roma e direttore del Pronto Soccorso Pediatrico della Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS: “Nei bambini è difficile eseguire un tampone naso-faringeo perché non è facile farglielo accettare. Per questo nel nostro Pronto Soccorso stiamo attivando il tampone salivare che è più facile nell’esecuzione e sembra dare le medesime risposte”
Roma, 12 maggio 2020 – Passata la fase acuta dell’emergenza sanitaria del Covid-19, gli accessi ai Pronto Soccorso Pediatrici tornano a crescere dopo la battuta d’arresto registrata nel periodo del lockdown. A raccontare la riorganizzazione di questo reparto all’agenzia Dire è Antonio Chiaretti, associato di Pediatria all’Università Cattolica Campus di Roma e direttore del Pronto Soccorso Pediatrico della Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS.
L’emergenza sta rientrando e la fase 2 è partita. Quali saranno le misure da seguire ancora per accedere al Pronto Soccorso Pediatrico?
“Non ci sono misure particolari oltre a quelle ministeriali. Tutti i bambini devono accedere al Pronto Soccorso Pediatrico se necessario, come nel caso di una patologia acuta che deve essere valutata da un pediatra. È chiaro che con la fase 2 abbiamo constatato un incremento degli accessi rispetto al periodo del lockdown. Il nostro Pronto Soccorso, così come quelli delle altre strutture, è sicuro poiché sono previsti dei percorsi separati riservati ai bambini sospetti Covid differenti da quelli disposti per i bambini Non Covid. Tutti i pazienti che presentano una sintomatologia vengono isolati e sottoposti a tampone ora anche salivare, che è più semplice. Fino alla risposta del tampone il bambino viene isolato per scongiurare qualsiasi rischio di contagio. Nei bambini è difficile eseguire un tampone naso-faringeo perché non è facile farglielo accettare. Per questo nel nostro Pronto Soccorso stiamo attivando il tampone salivare che è più facile nell’esecuzione e sembra dare le medesime risposte”.
Il virus si è fortunatamente dimostrato meno letale nei piccoli, questo vuol dire che anche la gestione e il decorso della malattia sono meno complicati? Avete tuttavia riscontrato casi di pazienti pediatrici con polmonite severa che hanno richiesto il ricorso alla terapia intensiva?
“Sappiamo che l’incidenza del Covid nei bambini, sia dalle esperienze cinesi che europee, si attesta al 2% e anche questa bassa incidenza sembra accompagnarsi ad una bassa gravità della malattia. Stiamo osservando fenomeni di vasculite che interessano gli arti inferiori ed è stato segnalato anche l’incremento della malattia di Kawasaki, condizione morbosa che colpisce le coronarie. Da noi negli ultimi due mesi abbiamo visto 4 casi di malattia di Kawasaki che sembra associata al Covid e noi solitamente in un anno ne vediamo dai 4 o ai 5 casi. Sembrerebbe perciò che il Covid sia responsabile di patologie che interessano i vasi sanguigni e le coronarie. Rispetto agli adulti i bambini hanno una morbilità e letalità assolutamente inferiore. Una recente indagine italiana ha dimostrato inoltre, testando 100 bambini italiani Covid positivi, che nessuno di loro è deceduto e soltanto 4 sono stati assistiti in Terapia Intensiva pediatrica in virtù della polmonite interstiziale. Anche al Gemelli abbiamo individuato 8 bambini su 150 che abbiamo testato e soltanto una bambina è stata ricoverata in TIN per polmonite interstiziale. Questa paziente non è stata intubata ma è stata sottoposta ad ossigenoterapia con modalità non invasiva ed ha avuto un decorso molto favorevole”.
Avete registrato lo stesso numero di accessi a Pronto Soccorso oppure la paura del contagio ha frenato l’accesso dei genitori? Quando si farà un bilancio di questi due mesi e più, si evidenzieranno sicuramente diagnosi tardive. Questo quali danni può provocare sulla salute del paziente?
“I dati del nostro Pronto Soccorso Pediatrico nel mese di marzo e aprile del 2019 ammontavano a 1.500 accessi. Quest’anno, negli stessi mesi, si è ridotto a 350/400 visite, cioè 1.000 bambini al mese in meno. Sicuramente due sono le cause sottese a questi numeri: una, che i bambini stando a casa e non frequentando le comunità scolastiche si ammalano meno; l’altro dato che ha portato un calo è stato sicuramente la paura dei genitori a venire in ospedale. Sicuramente le urgenze si sono recate e sono state trattate in Pronto Soccorso, mentre per tutte le altre patologie che possono essere definite croniche, come ad esempio le malattie allergiche, neurologiche, comportamentali e problemi di epilessia, c’è stata ritrosia a portare i bambini in Pronto Soccorso. Sappiamo di casi di bambini affetti da epilessia che sono stati gestiti dai genitori a casa nonostante le crisi convulsive per la paura del contagio in ospedale. Tutto questo potrebbe avere dei risvolti negativi nel decorso di queste malattie croniche perché gli eventuali danni registrati a casa, per adesso, non li possiamo ancora valutare. Il Policlinico Gemelli si è attrezzato con la telemedicina e l’assistenza telefonica per mantenere un contatto continuo tra i genitori e i pediatri della nostra struttura che già li avevano magari in cura prima dell’emergenza Covid”.