Prof. Vittorio Fineschi, ordinario di Medicina legale all’Università Sapienza di Roma: “La cosa che mi ha più stupito è stata in ogni caso il tasso di mortalità iniziale veramente altissimo, che era inspiegato finché non abbiamo cominciato a capire quali erano i danni di organo. In questo modo i clinici, anche sui reperti cadaverici, hanno potuto modificare le terapie”
Roma, 3 febbraio 2021 – “Abbiamo testato sui cadaveri la sussistenza nel tempo della positività al tampone per il Covid e abbiamo visto che, anche oltre i dieci giorni, ci dà risultato positivo. Quindi c’è presenza di RNA virale nel corpo umano ormai cadavere”. Lo ha scoperto il prof. Vittorio Fineschi, ordinario di Medicina legale all’Università Sapienza di Roma e direttore dell’obitorio comunale della Capitale, che insieme a un team di esperti ha effettuato uno studio, che sarà presto pubblicato sulla rivista Diagnostics, sui cadaveri di persone morte a causa del Covid.
Dunque anche un cadavere è in grado di infettare?
“Ad oggi non abbiamo nessuna comunicazione di contagio cadavere-operatore sanitario – risponde Fineschi, intervistato dall’agenzia Dire – Noi però, come altri istituti, dall’inizio della pandemia ci siamo premurati di fare tamponi anche sui cadaveri e abbiamo scoperto alcuni dati interessanti: innanzitutto abbiamo visto molte positività nei tamponi naso-faringei, ma allo stesso tempo abbiamo riscontrato una bassa carica di infettività. Forse questo rende ragione del fatto che non vi sono contagi diretti tra operatori e cadaveri”.
Insieme ad alcuni suoi colleghi ha realizzato delle raccomandazioni per le procedure medico legali nei pazienti Covid. Com’è cambiato il suo lavoro con l’avvento di questo virus?
“Il lavoro è cambiato molto, soprattutto per quanto attiene la parte autoptica e la gestione cadaverica, e la pandemia ha comportato grandi difficoltà organizzative anche nel nostro settore. L’idea di fare delle raccomandazioni è venuta in mente a un gruppo di colleghi, quindi insieme alla Società Italiana di Anatomia Patologica abbiamo formulato queste linee guida, che consentono a tutti gli operatori, sia anatomo-patologi sia medici legali, che si devono cimentare in un’autopsia in un soggetto con sospetto o con malattia conclamata di Covid, di poter adottare tutte le precauzioni e di non trascurare tecnicamente nulla. Queste raccomandazioni sono state pubblicate sulla rivista Patologica e hanno avuto un gran successo anche internazionale: in meno di un anno sono state già citate oltre 30 volte”.
Quali sono le principali fasi nella procedura di un’autopsia sui corpi delle persone con sospetta o confermata diagnosi di Covid?
“Bisogna fare una premessa: dall’inizio della pandemia ad oggi il ministero della Salute ha formulato numerose raccomandazioni e circolari. Siamo passati dalle prime che vietavano assolutamente o cercavano di limitare nella maniera più assoluta il confronto autoptico e le autopsie, a più miti raccomandazioni in cui si intravedeva la possibilità di far ricavare dall’autopsia un proposito terapeutico, così come è sempre stato nella storia.
Dall’autopsia e dai reperti autoptici, infatti, il clinico può imparare molto e anche in questo caso è stato così. Abbiamo quindi iniziato a fare autopsie e abbiamo realizzato uno studio multicentrico medico-legale insieme alle Università di Ferrara, Trieste, Udine e agli ospedali di Lucca e Pisa, riuscendo a creare un nucleo che ci ha consentito di avere oltre 60 autopsie in studio medico legale di soggetti deceduti per infezione da Covid. Dallo scorso 11 gennaio abbiamo nuove raccomandazioni ministeriali che ci dicono cosa usare, come vestirsi, come disinfettare e come poi trattare il cadavere una volta terminate le operazioni tecniche”.
Successivamente alla visita necroscopica la salma deve essere deposta nel feretro con gli indumenti e avvolta in un lenzuolo imbevuto di soluzione disinfettante. A questo proposito esiste una circolare esplicativa emanata dal Ministero della Salute: cosa precisa?
“L’incassamento del feretro deve avvenire con i provvedimenti che sono stati formulati nel tempo: occorre quindi incassare avendo delle mascherine protettive come minimo di tipo Ffp2 o equivalenti, occhiali protettivi oppure mascherine con visiera, camici monouso idrorepellenti, guanti spessi e scarpe da lavoro chiuse. Anche chi deve gestire la fase post tecnica, cioè l’incassamento del feretro, deve seguire questa procedura rigorosa ma molto sicura per l’operatore stesso. Dopo l’incassamento vi è un’ulteriore possibilità che tutto il feretro sia sottoposto a disinfezione esterna (superiormente, lateralmente e inferiormente, come dice la circolare). Insomma, siamo arrivati a un momento veramente di sicurezza assoluta per gli operatori”.
A seguito di un’autopsia su un soggetto con Covid sospetto o confermato, devono essere applicate tutta una serie di raccomandazioni per la disinfezione della sala autoptica e per lo smaltimento dei rifiuti. Quali sono?
“Le raccomandazioni riguardano una sanificazione che deve essere fatta con particolari liquidi. Addirittura si prevede anche la possibilità di fare dei prelievi d’organo. Tale questione, all’inizio della pandemia, era molto controversa e addirittura si raccomandava di non aprire il cranio per evitare delle procedure a rischio. Poi questo è stato superato e adesso la circolare prevede invece anche i liquidi fissativi in cui devono essere messi i prelievi biologici. La sala settoria deve essere accuratamente lavata con soluzione di ipoclorito di sodio o di fenolo. Quindi al termine occorre che tutto l’ambiente sia sanificato per poter lavorare successivamente in sicurezza anche su autopsie che non sono Covid collegate”.
Chi contrae il Covid vive la malattia in isolamento. Ma anche chi muore per Covid non può ricevere l’ultimo saluto dei parenti. È possibile che non esista un modo per permetterlo?
“Confido intanto che lo stato emergenziale con le vaccinazioni volga al termine. Per il resto, certamente al momento queste cautele possono sembrare eccessive, perché effettivamente il non poter piangere un proprio caro è un fatto forse ancor più straziante oltre la morte. Finché però non si saranno stratificate le oggettività scientifiche, penso sia opportuno fare questo grande sacrifico e mantenere questo tipo di cautele, che per ora hanno evitato anche contagi trasmessi da cadaveri ad operatori sanitari”.
C’è qualcosa che l’ha stupita quando ha effettuato la prima autopsia su un paziente deceduto per Covid?
“Come medici legali siamo abituati a lavorare in tutte le condizioni e anche in sale settorie disagiate, perché la nostra attività non consente di scegliere ma è l’autorità giudiziaria che sceglie il luogo dove fare l’autopsia. Siamo abituati, da sempre, a lavorare nei cimiteri anche sperduti di campagna. La cosa che mi ha più stupito è stata in ogni caso il tasso di mortalità iniziale veramente altissimo, che era inspiegato finché non abbiamo cominciato a capire quali erano i danni di organo. In questo modo i clinici, anche sui reperti cadaverici, hanno potuto modificare le terapie”.
A questo proposito, all’inizio della pandemia fu proprio grazie alle autopsie che arrivò la conferma sul fatto che gli organi più colpiti dal virus fossero i polmoni, così come si capì la necessità di fornire ai pazienti Covid anti coagulante. Quanto è importante studiare la morte per aiutarci a vivere?
“Da Morgagni in poi, quindi ormai da secoli, in sala settoria si impara e i clinici devono fare tesoro di ciò che noi vediamo. Noi siamo abituati a ragionare ‘al contrario’, cioè partiamo dal fatto peggiore che si è concretizzato, quindi dalla morte, e spieghiamo innanzitutto perché il soggetto è deceduto. Si tratta di un patrimonio di esperienza che poi deve essere interpretato e da quello bisogna risalire non solo alle cause, ma anche ai rimedi”.
Qualche anno fa, intanto, le università di Medicina avevano lanciato un allarme, lamentando il fatto che in Italia mancavano cadaveri per permettere agli studenti di fare esercitazioni anatomiche. È ancora così?
“L’esercitazione sui cadaveri è un momento fondamentale nella nostra attività. Effettivamente c’è stato negli anni passati un grande declino delle autopsie, perché con l’avvento delle tecnologie diagnostiche utilizzate sui pazienti (tra tac, risonanze magnetiche e pet) si è pensato che l’autopsia non potesse più dire niente su quel corpo. Per questo c’è stato veramente un brusco e drammatico calo delle autopsie. Adesso per fortuna la situazione si è ripresa e gli studenti, per lo meno qui alla Sapienza, hanno la possibilità di vedere molti riscontri diagnostici. Giusto qualche giorno fa abbiamo fatto il punto sui riscontri diagnostici sui dati obitoriali e devo dire che possiamo offrire oltre 600 autopsie allo studio anche degli studenti”.
(fonte: Agenzia Dire)