Roma, 3 febbraio 2021 – “Il consorzio per la genotipizzazione e fenotipizzazione di SARS-CoV-2 e per il monitoraggio della risposta immunitaria alla vaccinazione, doveva partire con un approccio diverso: dal basso verso l’alto, raccogliendo i migliori talenti, mettendo in competizione le varie realtà che lavorano già sul sequenziamento del virus, facendo un bando trasparente e che premiasse i migliori gruppi italiani”. A spiegarlo all’agenzia Dire è il microbiologo Andrea Crisanti, direttore del dipartimento di microbiologia dell’Università di Padova.
Il consorzio, costituito in questi giorni e fortemente voluto dal viceministro alla salute Pierpaolo Sileri, è utile a far fronte all’individuazione tempestiva delle varianti del virus circolanti in Italia, e in esso svolgerà un ruolo centrale l’Istituto Superiore di Sanità, raccogliendo su di sé le competenze richieste per il lavoro di sequenziamento.
Ma è proprio su questo punto che il microbiologo romano solleva dubbi: “L’Istituto Superiore di Sanità non mi sembra abbia la competenza informatica e scientifica specifica – la genotipizzazione e fenotipizzazione – in questo modo è complicato se non impossibile riuscire a restituire una capacità progettuale al consorzio”.
Alle sue parole sembrano fare eco anche quelle della presidente della società italiana di microbiologia, Anna Teresa Palamara, che sull’opportunità della scelta del consorzio, alla Dire ha risposto laconicamente: “Chiedete all’Istituto Superiore di Sanità”. “Di nuovo – spiega Crisanti – assistiamo allo stesso errore: si prendono importanti decisioni senza attivare le energie migliori del nostro Paese. Se anche avessero voluto chiamarmi sarebbe stato un errore, se si ha cuore e interesse per l’Italia, bisognava procedere con trasparenza e metodo; credo che da questa scelta potremmo avere qualche problema”.
La cautela di AIFA su monoclonali Eli Lilly. “Sugli anticorpi monoclonali bisogna essere molto chiari: il primo trial di Eli Lilly che prevedeva l’applicazione ai pazienti con la malattia in uno stadio più avanzato, ha fallito perché ha dimostrato di non funzionare. Diverso invece il secondo trial, che prevede la somministrazione degli anticorpi nei casi di sintomi lievi o per prevenzione. Quindi l’AIFA, il cui verdetto si attende in queste ore, fa bene a valutare attentamente. Non possiamo correre il rischio di sottrarre risorse dalla sanità pubblica per una cura che può essere promettente ma con evidenze scientifiche fondamentali”, così il prof. Crisanti, che dipana il nodo polemico sui monoclonali, scatenatosi in queste ore e che hanno portato più di uno scienziato a criticare il direttore di AIFA Nicola Magrini.
“Una terapia dal costo di 2-3.000 dollari va valutata con accortezza, a volte le grandi farmaceutiche, ricche di talenti per altre cure, spendono molto del loro capitale di credibilità in operazioni di persuasione del mercato che anche se condotte a fin di bene, possono generare confusione – aggiunge Crisanti – Quanto ai monoclonali di Rino Rappuoli, entrati in una nuova fase di sperimentazione, credo sia stata condotta con molta disciplina, lo scienziato Rappuoli ha un’eccellente competenza sul campo. Mi auguro che saranno disponibili al più presto ed in grado di essere utilizzati al meglio”.
Dopo le polemiche tra la Regione Lombardia e l’Istituto Superiore di Sanità, ci si è chiesti se il calcolo dei dati sulla situazione epidemiologica fosse da rivalutare, migliorare. Andrea Crisanti spiega cosa non va sul metodo che utilizziamo ormai da diverso tempo per capire l’andamento dell’epidemia di Covid-19.
“L’Rt calcolato in questa maniera è una presa in giro, è retrospettivo perché risale ad almeno 7 giorni prima, sono mesi che lo dico. In questo modo i casi si fanno risalire ad un tracciamento che peraltro non funziona più. Era stata fatta una proposta diversi mesi fa, adeguando il nostro sistema a quello europeo che lavora sui dati dell’incidenza e non sull’Rt, ma le Regioni si sono opposte in tutti i modi. Rt attuale è pertanto diverso da quello reale, mentre l’incidenza restituirebbe il dato corrente e corretto”.
Con un sistema di valutazione della situazione epidemiologica in seno alla cabina di regia, che anche per Crisanti mostra qualche falla, il professore romano non nasconde infine i suoi dubbi sulla strategia messa in atto per uscire dalla pandemia: “Ad oggi non esiste una soluzione, certamente il vaccino aiuta ma dobbiamo pensare che con le varianti, un vaccino che ha un’efficacia del 60% e la nostra capacità di vaccinare in ragione delle dosi e dei tempi a disposizione, non raggiungeremo un’immunità di gregge perché ci attesteremmo ad una protezione della popolazione inferiore al 40%. Solo se immunizzassimo il 90% della popolazione, potremmo arrivare a un abbondante 50% di immunità. Ma questa è un’impresa che non riusciremo a fare in tempi congrui a combattere le varianti né per il numero di dosi disponibili. Guardiamo intanto ad Israele, il primo paese che riuscirà a vaccinare buona parte della sua popolazione e a indurre una protezione nella popolazione, studiamone i dati, riproduciamo su nostra scala quanto di buono hanno messo in atto e – conclude Crisanti – impariamo dagli altri”.
(fonte: Agenzia Dire)