Fra gli interventi: Umberto Galimberti, Li Wentian del Wuhan Mental Health Center, Ulrich Sollmann, Vittorio Gallese e Stephen Porges
Bologna, 26 dicembre 2020 – Quindici nomi di fama internazionale provenienti da ogni parte del mondo, compresi Wuhan e USA, si sono riuniti per parlare del rapporto fra pandemia, psicoterapia e corpo. È successo a Bologna intorno a un tavolo virtuale organizzato dalla Società Italiana di Biosistemica. Ha parlato italiano dunque il congresso “Body and Psychotherapy at the time of Pandemic” dello scorso 19 dicembre e ha riunito i più grandi studiosi di psicoterapia del mondo lungo tutto un percorso che ha coinvolto anche colleghi cinesi e americani, per avere una prospettiva delle fasi che verranno.
“Siamo improvvisamente entrati in una nuova era che ha messo a dura prova la nostra connessione con il passato e con il futuro – spiega il prof. Maurizio Stupiggia, che insieme alla dott.ssa Rosanna De Sanctis, ha rappresentato la SIB, Società Italiana di Biosistemica di Bologna presiedendo il convegno – Stiamo assistendo a due rivoluzioni temporali che si sono susseguite una dopo l’altra: una fortissima accelerazione che ha esponenzialmente destabilizzato le interazioni sociali, e ora una imprevedibile riduzione della vicinanza fisica e del contatto corporeo a causa della pandemia da CoVid-19”.
“Durante il congresso ho sottolineato – prosegue Stupiggia – come la situazione pandemica di fatto sia un trauma, in particolare un trauma collettivo: non ne esistono altri coincidenti o simili, visto che guerra e il terrorismo sono tutta un’altra cosa. Il trauma più vicino è quello della segregazione subita dei nativi americani. Anche noi come loro abbiamo subito una segregazione ed è stato interessante sapere dagli psicoantropologi americani come abbiano lavorato per ricostruire il senso di comunità e una sana individualità ricostruendo i legami con gli antenati. E questo coincide con un tentativo quasi spontaneo di tutti noi durante il primo lockdown di ricontattare persone legate alla nostra storia anche molto lontana; un moto spontaneo della ricostruzione del tessuto relazionale che ci permette di essere resilienti di fronte a questo trauma collettivo”.
Massimo Biondi e la resilienza: come faremo fronte al periodo di grande stress traumatico che stiamo attraversando e che vivremo in futuro
E a proposito, Massimo Biondi, dell’Università degli Studi di Roma “La Sapienza” dimostra che cosa produce quella che viene chiamata resilienza: “Si tratta di un valore molto importante in questa fase, perché stiamo attraversando e andremo sempre di più verso un periodo di grande stress e soprattutto di stress traumatico, tanto da poter parlare di post-epidemic syndrome”.
Biondi dunque fa riferimento alla sindrome post-epidemica e analizza il fattore della resilienza, cioè la capacità di far fronte a queste situazioni difficili e mette in luce che dal punto di vista della corporeità è molto importante se noi facciamo pratiche della meditazione, mindsfulness, yoga cioè ciò che ha a che fare con la consapevolezza corporea. Ed ecco che torniamo a quello che dicevano Gallese e Sinigaglia, ovvero che la percezione del nostro corpo e del nostro corpo in azione, produce una capacità di sentire l‘altro, di gestire le relazioni con l’altro e di modularle in un senso ottimale per sé.
Umberto Galimberti e Gallese: l’angoscia e l’importanza della tecnologia
“L’intervento di Umberto Galimberti si è focalizzato sulla difficoltà di gestire questa situazione traumatica che genera angoscia, ovvero una paura senza nome, senza oggetto né contorni e al successivo tentativo di rendere minacciose delle etnie, altri stati e regioni cercando un nemico che potesse farci passare dall’angoscia alla paura. La paura è infatti più maneggiabile”, spiega De Sanctis, psicologa e psicoterapeuta che riassume l’intervento del noto filosofo.
Vittorio Gallese, dell’Università di Parma, ha parlato dell’importanza della tecnologia, la quale diventa protesi per costruire ponti relazionali e fare da collegamento fra esseri umani in una dimensione epocale fortemente estetizzante. Il tema dell’aestesis, il processo sensoriale di sensazione estetica: “La tecnologia è interfaccia fra noi e il mondo e plasma il nostro sguardo fra noi e il mondo”.
Fra gli interventi più rilevanti del congresso, quello di uno dei massimi neurofisiologi viventi, che ha influito in maniera profonda e fondamentale sulla psicoterapia: Stephen Porges, Indiana University. Il suo messaggio principale è stato “safety is the treatment” (la sicurezza è la terapia): dice che noi riusciamo a calmarci, a regolarizzare il nostro metabolismo e a cambiare se ci sente in un ambiente sicuro. Porges stesso ha sperimentato che il terapeuta, quando riesce a costruire delle condizioni di sicurezza e lui stesso si pone come persona degna di fiducia, allora si giunge a una co-corregolazione reciproca e precisa e il paziente va verso il benessere e la guarigione.
Gli esperimenti di Corrado Sinigaglia, Università di Milano: come cambia la percezione attraverso la mascherina e l’innata tendenza umana di avvicinarsi l’un l’altro
Corrado Sinigaglia, Università di Milano, ha mostrato una serie di esperimenti interessanti rispetto alla percezione umana. Quando gli attori sono per esempio schermati da un plexiglass o da altri schermi che impediscono l’azione, tutto questo modifica la percezione umana e modifica soprattutto la percezione del comportamento e delle intenzioni dell’altro. Perché è importante questa serie di esperimenti? Perché adesso che usiamo tutti la mascherina, che è uno schermo protettivo, noi sappiamo anche sperimentalmente questo ci cambia profondamente la percezione dell’altro.
“Un’altra cosa importante che ci ha mostrato Sinigaglia – spiega Stupiggia ripercorrendo gli interventi principali dei relatori – è che c’è una tendenza strutturale dell’uomo a non stare troppo lontano dall’altro. Come a dire che se sto troppo lontano dall’altro, non ne percepisco né immagino il mondo interno. Dunque possiamo stare un po’ lontani dagli altri, ma poi, a un certo punto l’innata tendenza umana e di avvicinarci”.
“Siamo costituiti da batteri e virus per il 40%”
Rubens Kignel, dal Brasile (Universidade de Sao Paulo), ha messo in luce la tendenza a vedere il mondo come totalmente puro e a combattere l’impurità anche in questa pandemia. Basti pensare all’attenzione all’untore, a sconfiggere il virus. Ma Rubens Kignel facendo riferimento a studi di biologia e immunologia mostra come noi siamo per il 40% composti da virus e batteri e siamo nati addirittura da virus e batterie che quindi noi non possiamo avere questa logica di ricerca ossessiva dell’impurità, ma piuttosto lui cerca di mostrare come la nostra vita sia una ricerca di convivenza con tutte le forme di virus”.
Le conclusioni
“Per gli addetti ai lavori si è trattato di un evento straordinario perché ha raggruppato i massimi esperti del settore, che qui si sono confrontati pubblicamente su questo tema per la prima volta – spiega Stupiggia – Mentre le istituzioni e la stampa si occupano solo dell’emergenza immediata, l’argomento proposto dal convegno viene trascurato sebbene sarà forse, nel proseguo della pandemia e anche dopo, la questione di maggior rilievo. Ci ritroveremo infatti con molte problematiche psicologiche legate alla sindrome post traumatica scatenata da questa pandemia. Ciò che sta accadendo è infatti del tutto inedito, non solo dal punto di vista medico, ma anche dal punto di vista della salute mentale. I terapeuti non avevano mai affrontato una emergenza tale, che richiede prospettive e strumenti totalmente nuovi”.
De Sanctis ha fatto il punto sulla fruizione del seminario da parte di un target non medico, non specialistico, generalista ma altrettanto interessato: “Anche per i non addetti ai lavori è stata un’opportunità perché sono state spiegate in maniera chiara e comprensibile le dinamiche che stanno alla base di una serie di reazioni emotive e comportamentali che viviamo quotidianamente. I relatori cercheranno di spiegare l’impatto che questa esperienza collettiva e planetaria ha su di noi, e offriranno anche strumenti praticabili di cura di sé e del proprio ambiente di vita”.