Roma, 25 novembre 2020 – La relazione pericolosa tra Covid e malattie neurologiche con particolare riferimento all’ictus cerebrale, l’impatto della pandemia sul sonno, le ultime scoperte sui fattori di rischio dell’Alzheimer in tema di diagnosi precoce e sulle terapie, la digitalizzazione della neurologia e le innovazioni nell’ambito della ricerca sui disturbi della coscienza sono tra i temi portanti della 51° edizione del Congresso Nazionale della Società Italiana di Neurologia, dal 28 al 30 novembre in versione totalmente virtuale, con il coinvolgimento di circa 2.500 specialisti di tutta Italia.
Con l’arrivo del Coronavirus in Italia le patologie neurologiche hanno avuto un fatale incremento: sono oltre 1.200.000 le persone affette da demenza, di cui 720.000 quelle colpite da Alzheimer, alle quali il lockdown ha provocato un aggravamento dei sintomi comportamentali e un peggioramento del decadimento cognitivo; circa 800.000 sono i pazienti con conseguenze invalidanti dell’ictus, patologia che ogni anno fa registrare 150.000 nuovi casi e che ha mostrato una maggiore incidenza e severità nei pazienti con Coronavirus; i disturbi del sonno, che riguardano mediamente 12 milioni di italiani, durante la pandemia ne ha colpiti circa 24 milioni. Infine la cefalea, che interessa un individuo su 2, è stato identificato come sintomo del Covid.
“In considerazione di questi numeri, aggravati proprio dalla pandemia in corso – ha affermato il prof. Gioacchino Tedeschi, Presidente SIN e Direttore Clinica Neurologica e Neurofisiopatologia, AOU Università della Campania “Luigi Vanvitelli” di Napoli – la sfida della neurologia italiana per il futuro si presenta davvero impegnativa e sarà necessario uno sforzo comune per mantenerne i livelli scientifici e migliorarne quelli assistenziali. Il Congresso della SIN rappresenta proprio un importante momento di confronto costruttivo, sinergico e di contaminazione che vede coinvolte tutte le forze in campo”.
Nel corso della conferenza stampa di presentazione del Congresso Nazionale SIN, gli esperti hanno illustrati i seguenti temi:
Neurologia nell’era digitale
Prof. Gioacchino Tedeschi, Presidente SIN e Direttore Clinica Neurologica e Neurofisiopatologia, AOU Università della Campania “Luigi Vanvitelli” di Napoli
Possiamo affermare con certezza che siamo ormai entrati nella fase Neurologia 3.0: la nostra attenzione nell’assistenza ai pazienti, le nostre idee per la ricerca scientifica, i nostri sforzi per insegnare ai più giovani come essere sempre all’altezza di affrontare sintomi e segni di una malattia neurologica, non possono prescindere dell’era digitale in cui viviamo.
La SIN già da qualche anno ha avviato diverse collaborazioni di contaminazione di competenze con diverse realtà scientifiche, una volta ben lontane della ricerca clinica. Un esempio è il network tra i membri della SIN e l’Apple Academy del prof. Giorgio Ventre, Ingegnere dell’Università Federico II di Napoli, che è già ad una fase avanzata dei lavori e a breve produrrà il primo studio di applicazione di una soluzione Digitale che soddisfi degli unmet needs delle persone con Sclerosi Multipla.
In generale tutti i servizi di Telemedicina, soprattutto per il management delle patologie neurologiche croniche, si stanno ampliando capillarmente su tutto il territorio nazionale. Un esempio è rappresentato dai servizi di Videoconsulto e di Monitoraggio via web sia da un punto di vista comunicativo che di controllo in remoto dei sintomi dei pazienti.
In epoca di distanziamento sociale imposto dalla pandemia, inoltre, le Terapie Digitali, attraverso la Realtà Virtuale e la Gamification con un obiettivo clinico specifico sono diventati parte integrante dei programmi riabilitativi (sia motori che cognitivi) a domicilio.
Nel corso dei lavori congressuali, discuteremo anche dell’importanza dei Big Data per l’analisi dei fattori di rischio per le malattie neurologiche e delle Terapie Digitali.
Covid e malattie neurologiche
Prof. Carlo Ferrarese, Direttore del Centro di Neuroscienze di Milano, Università di Milano – Bicocca e Direttore della Clinica Neurologica, Ospedale San Gerardo di Monza
L’impatto della pandemia ha coinvolto la neurologia tutta, dal punto di vista clinico-infettivo e da quello gestionale delle patologie neurologiche. Le complicanze neurologiche dell’infezione da Covid-19 possono riguardare sia il sistema nervoso centrale – con cefalea, vertigini, disturbi dello stato di coscienza (confusione, delirium, fino al coma), encefaliti da infezione diretta del virus o su base autoimmune, manifestazioni epilettiche, disturbi motori e sensitivi spesso legati a ictus ischemici o emorragici – sia il sistema nervoso periferico con perdita o distorsione del senso dell’olfatto, del gusto, neuralgie e sindrome di Guillan-Barrè; infine, possono essere correlate a sintomi da danno muscolare scheletrico, che si manifestano con mialgie intense.
In particolare, in Lombardia è stato effettuato tra Marzo e Aprile uno studio multicentrico (studio Strokovid) nelle 10 strutture identificate dalla Regione come Hub per il trattamento dell’ictus, per studiare l’incidenza di tale patologia e le caratteristiche di tali pazienti. Lo studio ha dimostrato una maggiore incidenza e una maggiore severità di ictus nei pazienti Covid rispetto ai soggetti non affetti da Covid. Questo può essere legato alle alterazioni della coagulazione innescate dal legame del virus alla parete dei vasi sanguigni.
Inoltre, un meccanismo di danno del sistema nervoso in seguito all’infezione virale può essere legato ad una abnorme attivazione del sistema infiammatorio ed immunologico, con produzione di sostanze chiamate citochine, che possono facilitare un danno immuno-mediato. Proprio per questo il cortisone, che spegne l’infiammazione, oltre agli anticoagulanti, che riducono l’ipercoagulabilità, vengono spesso utilizzati nelle forme gravi di Covid-19.
Proprio per documentare tutte le possibili manifestazioni neurologiche all’esordio, durante o dopo l’infezione Covid-19, la SIN ha promosso uno studio osservazionale in 45 Neurologie italiane, che stanno registrando tutte le possibili complicanze neurologiche e che seguiranno tali pazienti per ulteriori 6 mesi, fino a giugno 2021. Questo studio sarà confrontato con gli analoghi studi promossi da altre società neurologiche europee e sarà quindi disponibile un registro europeo, presso la European Academy of Neurology.
Diagnosi precoce e differenziale nel declino cognitivo
Prof. Alessandro Padovani, Direttore Clinica Neurologica Università di Brescia
Sono molte le novità emerse sulla Malattia di Alzheimer in questo ultimo anno sia dal punto di vista dei fattori di rischio, sia dal punto di vista diagnostico, sia dal punto di vista terapeutico di cui discuteremo al prossimo Convegno Nazionale della Società Italiana di Neurologia.
Uno studio pubblicato su Lancet pochi mesi fa ha permesso di fare il punto sui diversi fattori di rischio associati alla Malattia di Alzheimer e sulla possibilità di poter prevenire la Malattia attraverso un controllo o un intervento attivo su di essi. Oltre ai già citati fattori di rischio cardiovascolari, che includono diabete, ipercolesterolemia, ipertensione arteriosa, obesità, lo studio ha individuato diversi altri possibili bersagli, che sembrano i più rilevanti, quali la sedentarietà, il fumo di sigaretta, l’eccessivo consumo di alcool e di bevande zuccherate, oltre alla sordità, all’esposizione all’inquinamento ambientale, all’isolamento sociale e alla depressione.
Diversi studi, inoltre, includono tra i fattori di rischio anche i disturbi del sonno e l’eccessivo uso di ansiolitici, una dieta eccessivamente ricca di carboidrati e di sale nonché una scarsa igiene orale. Di notevole interesse un recente studio che sembra individuare in una bassa concentrazione plasmatica di vitamina D, vitamina B12 e di una bassa concentrazione di acidi grassi polinsaturi (vedi n-3 PUFA) gli indicatori più significativamente associati ad un decadimento cognitivo. Questa crescente mole di dati indica la necessità di attivare programmi di prevenzione attiva agendo sugli stili di vita e sulla somministrazione di integratori nutrizionali soprattutto nei soggetti a rischio.
Un aspetto fondamentale è rappresentato dalla diagnosi precoce: un gruppo di ricercatori svedesi coordinati da Henrik Zetterberg e Oskar Hansson ha individuato una proteina, p-Tau217, nel plasma la quale risulta correlata alle alterazioni neuropatologiche tipiche di questa malattia, dimostrandoche elevati valori predicono la presenza della malattia con una accuratezza superiore all’80%. In altre parole, si avvicina il traguardo di una diagnosi mediante un prelievo ematico.
Per ciò che riguarda la cura, adesso dobbiamo limitarci a somministrare farmaci come gli anticolinesterasici e memantina, ma non sarà per molto. Diversi studi hanno confermato che la somministrazione di terapie biologiche per mezzo di anticorpi contro l’amiloide così come di farmaci in grado di interferire con il metabolismo di questa proteina, non solo riduce l’accumulo di placche senili e la degenerazione neurofibrillare, ma soprattutto migliora la progressione della malattia. Non siamo ancora al punto da dichiarare sconfitta la malattia di Alzheimer ma certo i dati ottenuti sono molto incoraggianti, soprattutto se il trattamento viene somministrato nelle fasi iniziali della malattia di Alzheimer.
I disturbi del sonno
Prof. Giuseppe Plazzi, Centro per lo Studio e la Cura dei Disturbi del Sonno dell’Università di Bologna
Fra i numerosi studi che si sono occupati delle sequele provocate dalla infezione Covid-19, un lavoro retrospettivo su oltre 60.000 casi apparso in novembre su The Lancet Psychiatry colloca l’insonnia al secondo posto (dopo il disturbo d’ansia) nelle sequele psichiatriche dei pazienti Covid-19. Su JAMA Open, inoltre, il gruppo canadese capitanato da Charles Morin indica come l’insonnia, una volta comparsa, indipendentemente dal background, tenda a divenire una condizione permanente molto dannosa, se si considerano i fattori di rischio associati ad una insonnia persistente come i disturbi dell’umore, ansia e depressione, disturbi cognitivi, disturbi endocrino-metabolici e cardiovascolari.
Cos’è successo al nostro sonno durante il lockdown?I ritmi di vita, sonno e alimentazione sono stati messi a dura prova dalle numerose restrizioni imposte per contrastare la diffusione del nuovo Covid-19, in particolare l’isolamento forzato.
Uno dei più ampi studi italiani ha evidenziato, su un campione di più di 6.000 soggetti adulti (età compresa tra i 18 e gli 82 anni), come più della metà (55.32%) dei soggetti lamentasse una ridotta qualità del sonno e modificazioni del ritmo sonno-veglia, con una anticipazione o posticipazione del periodo di sonno e con una maggiore quantità di sonno diurna. Questo si associa, con un legame bidirezionale, a più elevati livelli di stress, ansia e depressione e ad un peggioramento del benessere mentale e della qualità di vita. Effetto modulato dal genere con un maggior rischio per le donne.
I disturbi della coscienza
Prof. Giacomo Koch, Professore ordinario di Fisiologia Università di Ferrara e Direttore Laboratorio di Neuropsicofisiologia Sperimentale della Fondazione Santa Lucia di Roma
Le innovazioni più interessanti nell’ambito della ricerca sui disturbi della coscienza riguardano l’impiego di strumenti diagnostici avanzati in grado di scovare nei nostri pazienti quella che viene definita covert cognition, cioè residui di attività cognitive “coperte o nascoste” ad un esame solo clinico. Attraverso, quindi, tecniche diagnostiche avanzate come la Risonanza Magnetica funzionale o i Potenziali Evocati evento-correlati, è possibile stimolare i pazienti con voci o racconti riconosciuti come significativi e valutare se a livello delle aree cerebrali è possibile registrare delle risposte di attivazione, anche quando queste non sono rilevabili attraverso l’osservazione clinica. È sicuramente un settore di grande interesse.
Laddove il dibattito in ambito teorico tra le diverse teorie della coscienza è più che mai acceso, le neuroscienze empiriche stanno rapidamente convergendo verso l’identificazione di alcuni processi neuronali che sono clinicamente rilevanti per i disturbi della coscienza (Comanducci et al., ClinNeurophysiol 2020).
Da una parte, nuovi indici di complessità cerebrale, derivati da utilizzo in contemporanea di stimolazione magnetica transcranica (TMS) e elettroencefalogramma (EEG), EEG e risonanza magnetica funzionale (fMRI), consentono un’accurata diagnosi e stratificazione dei pazienti, dall’altra, registrazioni intracraniche e modelli animali stanno svelando i meccanismi neuronali di perdita e recupero della complessità cerebrale.
Secondo il prof. Marcello Massimini, professore ordinario dell’Università di Milano, questi meccanismi potrebbero rappresentare un target aggredibile per restituire l’integrità funzionale delle reti corticali e per promuovere la neuroriabilitazione e il recupero di coscienza in pazienti affetti da gravi lesioni cerebrali.
In ambito terapeutico le metodiche di stimolazione cerebrale prospettive potrebbero essere utili per accelerare il recupero funzionale dello stato di coscienza favorendo l’attivazione dei circuiti cerebrali che sono importanti per il recupero della coscienza. In particolare studi con stimolazione transcranica a corrente continua (tDCS) hanno prodotto dei dati incoraggianti. È stato dimostrato che la tDCS applicata sulla corteccia prefrontale dorso laterale sinistra (lDLPFC) migliora la reattività comportamentale nei pazienti in stato di minima coscienza.