Covid e cure domiciliari oncologiche, doppio triage per l’assistenza. Protocollo abruzzese fa scuola nel mondo

A cura del prof. Giampiero Porzio, Coordinatore AIOM Abruzzo e Dirigente Medico Oncologia Università dell’Aquila

Roma, 15 giugno 2020 – L’Abruzzo è una Regione caratterizzata da nette differenze territoriali. Di fatto, è divisa in due realtà, quella interna e montuosa delimitata dalla catena del Gran Sasso e dalla Maiella con i grandi parchi nazionali, e quella costiera, che si affaccia sull’Adriatico. E la pandemia da coronavirus ha colpito diversamente le due zone del nostro territorio.

L’Abruzzo ‘interno’, in cui rientra la provincia dell’Aquila, è stato poco interessato dal Covid-19. Nell’intero territorio aquilano sono stati registrati meno di 40 casi (e solo alcuni focolai ad Avezzano e Sulmona). Dopo due terremoti e due nevicate catastrofiche che, in passato, hanno drammaticamente segnato le popolazioni di queste aree, negli ultimi tre mesi siamo stati risparmiati dalla violenza del virus. La costa invece è stata più colpita, infatti Pescara è stata una delle città con il maggior numero di contagiati dell’intero Centro-Sud.

Nella Regione, i reparti di oncologia si sono riorganizzati seguendo le linee guida di AIOM: abbiamo eseguito le prime visite, proseguito le terapie in corso e rimandato di alcune settimane il follow up dei pazienti già avviati a un percorso di guarigione.

Abbiamo registrato due situazioni critiche, con alcuni pazienti contagiati nei reparti di oncologia di Teramo e Pescara (10 a Teramo, 5 a Pescara). I colleghi sono stati molto bravi, perché li hanno individuati e circoscritti subito, senza interrompere l’attività clinica quotidiana. Anche durante il periodo di lockdown, i pazienti oncologici più critici hanno sempre meritato la completa attenzione degli oncologi della Regione e nessun caso sospetto è stato rinviato.

Prof. Giampiero Porzio

Non solo. Durante la pandemia abbiamo attivato un programma di assistenza domiciliare, forti della grande esperienza maturata con l’emergenza terremoto del 2009. Abbiamo realizzato il protocollo di doppio triage, definito in collaborazione con l’MD Anderson Cancer Center di Huston (Texas, USA). L’abbiamo applicato anche a Firenze, con l’Associazione Tumori Toscana, che segue molti pazienti ogni anno (1.500).

Il protocollo è stato pubblicato sul Journal of Pain and Symptom Management e definito, in una revisione della letteratura da parte dell’Università di Bristol, come uno dei due modelli innovativi per le cure domiciliari oncologiche in corso di pandemia.

In passato abbiamo vissuto l’emergenza del terremoto. In quella fase drammatica, l’obiettivo delle cure domiciliari era non abbandonare i pazienti e garantire la continuità di cura. Nell’emergenza coronavirus, si è aggiunto un ulteriore elemento, perché è diventato necessario assicurare la protezione degli operatori sanitari, oltre alla continuità di cura.

Abbiamo quindi elaborato un protocollo articolato in un doppio triage: il primo basato su domande standard (Hai febbre, tosse o difficoltà a respirare? Vivi con qualcuno contagiato o in quarantena? Vieni da una zona rossa?). Il secondo triage consiste in una valutazione dei sintomi e della prognosi. Sulla base di questa seconda valutazione, il paziente è classificato come “rosso”, “giallo” o “verde”, con la conseguente definizione degli accessi e della loro intensità. Si tratta di un sistema di facile applicabilità e non richiede alcun device, per questo è stato considerato come modello innovativo.

Il sistema sanitario regionale ha quindi risposto bene alla crisi e il bilancio generale è positivo. I pazienti oncologici in trattamento non hanno evitato l’ospedale per tumore del contagio da Covid. Oncologi e infermieri si sono impegnati per rassicurare i pazienti (chiamandoli al telefono il giorno prima della terapia) e per far capire loro che il reparto di oncologia era e resta un luogo sicuro.

Diverso il discorso per i pazienti in follow up, con cui è già instaurato un rapporto di lunga durata. In questi casi, le visite sono state rimandate di alcune settimane, senza conseguenze. La ripresa può presentare alcune criticità nel riavvio degli screening e dell’attività ambulatoriale, in corso in queste settimane. Affronteremo maggiori carichi di lavoro, ma credo che tutto tornerà alla normalità dopo i primi mesi.

L’esperienza del terremoto è molto simile a quella del coronavirus, perché è un’emergenza imprevedibile e inaspettata. Ma, in entrambe le vicende, è emersa la totale impreparazione delle Istituzioni.

Innanzitutto, va segnalato il mancato coinvolgimento degli oncologi da parte delle Istituzioni regionali. Sono state create task force, unità di crisi, commissioni, ma in nessuna è stata prevista la presenza di un oncologo. Non siamo mai stati consultati, non ci hanno mai chiesto un parere. Una decisione a dir poco criticabile, visto l’impatto delle patologie neoplastiche e la presenza in Abruzzo di due Facoltà di Medicina e due cattedre di Oncologia Medica.

Inoltre, le Istituzioni regionali hanno fornito protocolli uniformi su tutto il territorio. Si tratta di un grave errore, perché le differenze territoriali richiedono specificità. Ogni intervento dovrebbe essere modulato in relazione al contesto in cui si lavora. Durante la pandemia, ho ricevuto dalla Regione un protocollo di 94 pagine: impensabile leggerle in una situazione di crisi, ne basterebbe uno sintetico.

Durante il terremoto del 2009, per una serie di circostanze del tutto fortuite, abbiamo lavorato con medici e infermieri del reggimento San Marco della Marina Militare. Erano professionisti che avevano già operato in zone di guerra, in Iran, Somalia, Afghanistan. Erano in grado di risolvere subito i problemi. Dobbiamo imparare da questi esempi per affrontare le situazioni di crisi.

A livello nazionale, credo che sia stato sbagliato sottrarre gli oncologi dai dipartimenti di oncologia per destinarli nei reparti Covid. Probabilmente in alcune Regioni, come la Lombardia, in cui la diffusione del virus era paragonabile a un vero e proprio tsunami, la scelta è stata obbligata. Gli oncologi, però, anche in una pandemia, non sono paragonabili agli altri specialisti, proprio perché i percorsi oncoematologici vanno garantiti e protetti.

(fonte: AIOM News)

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