Roma, 29 novembre 2021 – “Dall’8 aprile ad oggi abbiamo trattato 78 pazienti – positivi al Covid – giunti all’ospedale dei Castelli dal proprio domicilio e altri 10 già qui in struttura, siamo vicini ai 100 pazienti, che è un numero rilevante se pensiamo che nel Lazio ne sono state somministrate 2.300 dosi, di cui un migliaio in due grossi centri, in tutto sono 15 i centri per la somministrazione dei monoclonali. La nostra azienda partecipa alla lotta al Covid e vuole continuare a farlo a tutti I livelli”. Questa è la determinazione di Filomena Pietrantonio, responsabile cure monoclonali e primario del reparto di medicina interna dell’ospedale dei Castelli, nell’Asl Roma 6, che all’agenzia Dire spiega come funziona e perché è importante l’accesso al trattamento con gli anticorpi monoclonali per la cura del Covid.
“Con le nuove indicazioni la somministrazione degli anticorpi si è ampliata molto, ora è rivolta ai pazienti anche con sintomi piccoli perché l’obiettivo è ridurre ed impedire il decorso della malattia severa – specifica Pietrantonio – Inoltre la somministrazione è rivolta anche ai pazienti già vaccinati, i quali potrebbero avere, in linea teorica, le risorse per contenere l’evoluzione dell’infezione affinchè non si trasformi in grave”.
“Abbiamo elaborato un protocollo e siamo in collaborazione stretta con il territorio, da cui arrivano segnalazioni tutti i giorni, e in queste settimane ce ne arrivano molte – afferma il primario Pietrantonio – Ora dobbiamo sensibilizzare le persone perché la terapia è a disposizione e quindi accessibile proprio per fare in modo che vi siano meno complicazioni possibili e uscire al più presto dalla pandemia”.
Ma qual è l’obiettivo del trattamento con i monoclonali? “Lo scopo è impedire che persone a rischio sviluppino la forma grave della malattia e vengano ospedalizzate. I pazienti positivi, se con più di 65 anni, possono chiamare il numero verde dell’Ares 118 che effettua una sorta di triage telefonico, oppure rivolgersi al medico di medicina generale, o ancora alle Uscar, le unità speciali di assistenza sul territorio o ancora presso i medici del pronto soccorso. Da ognuno di questi canali il paziente verrà poi segnalato, contattato dall’Asl e visitato una volta in ospedale; se viene ritenuto necessario si procede con il trattamento presso la struttura ospedaliera”. Lo chiarisce la dott.ssa Enrica Cipriano, nel team per le cure con i monoclonali contro il Covid-19 dell’ospedale dei Castelli, presso l’Asl Roma 6.
Cipriano spiega all’agenzia Dire come funziona il trattamento per il contrasto alla malattia da SARS-CoV-2 e come vi si accede: “Il trattamento con i monoclonali richiede un’unica infusione per via endovenosa di circa un’ora, al termine della quale il paziente resta in osservazione per un’ora e poi, se ha un accompagnatore positivo che sta bene può tornare a casa ma se non ha una persona che può aiutarlo, come Ospedale dei Castelli mettiamo a disposizione un taxi apposito con tutte le accortezze sanitarie del caso”.
Rispetto a paure e effetti avversi, Cipriano chiarisce che “i farmaci, i monoclonali che utilizziamo, sono ben tollerati ma sono sempre farmaci, per cui i pazienti asintomatici non sono candidabili per la terapia”.
“Purtroppo la malattia però è molto imprevedibile abbiamo visto alcuni pazienti vaccinati con co-morbidità che hanno sviluppato una polmonite importante, perché il vaccino non ha una copertura del 100%, pertanto è altrettanto importante sottoporsi anche alla terza dose, non a caso la dose di richiamo per i pazienti con particolari fragilità viene considerata parte del ciclo vaccinale, quindi essenziale per completare la protezione”, ricorda la dottoressa dell’ospedale dei Castelli.
“È importante ricordare che la terapia è rivolta agli ultra 65enni, ma anche ai più giovani che hanno cronicità o patologie, per esempio problemi di tipo epatico, renale, cardiovascolare, asma o bronchiti croniche e patologie del neurosviluppo. La precocità e la sintomaticità sono i due aspetti più importanti affinché questo trattamento abbia efficacia – ribadisce Cipriano – qualora il paziente abbia ricevuto la terapia può accedere al vaccino dopo 6 mesi dall’aver contratto la malattia”.
Il trattamento con gli anticorpi non è però da intendersi come unico argine alla malattia, spiega infatti la responsabile per le cure con i monoclonali, Filomena Pietrantonio: “Stiamo studiando a fondo i dati pre e post trattamento con questi anticorpi ma dobbiamo ricordare che il nostro obiettivo è che la persona non si ammali e questo si può fare in primo luogo con la prevenzione, il vaccino, e gli anticorpi monoclonali in ultima istanza. Gli anticorpi sono un’arma in più, molto valida, e ne stiamo studiando l’impatto sulla popolazione generale ma non è un’alternativa al vaccino e alla prevenzione”.
“Le persone con cronicità e fragilità devono mettere in atto tutte le misure per non ammalarsi, anche perché, lo abbiamo visto, a volte queste persone non sviluppano le difese dalla malattia anche dopo aver effettuato il vaccino poiché non sono immunocompetenti e questo significa che attorno a loro deve esserci una barriera di vaccinati che li protegga. Questa è la base della lotta contro il Covid”, ribadisce il primario Pietrantonio.
(fonte: Agenzia Dire)