Roma, 23 aprile 2020 – Il Covid-19 danneggia anche i reni, con meccanismi e conseguenze diverse. Ed è dunque un problema da tenere ben presente sia sul piano clinico, che organizzativo per fronteggiare adeguatamente l’emergenza, visto che è tutt’altro che raro. Uno studio cinese ha evidenziato che metà delle persone ricoverate per Covid-19 presenta proteine o sangue nelle urine, un evidente segno di danno renale.
Il 14-30% dei pazienti con Covid-19 ricoverati in rianimazione a Wuhan e a New York inoltre presentava un deterioramento della funzione renale tale da richiedere un trattamento emodialitico. È il motivo per cui le terapie intensive di New York si sono affrettate a chiedere con urgenza l’arrivo di altro personale specializzato per la dialisi, con in più l’incubo di rimanere sprovvisti dei liquidi per la dialisi.
Abbiamo chiesto al prof. Giuseppe Grandaliano, Ordinario di Nefrologia all’Università Cattolica e Direttore della UOC di Nefrologia della Fondazione Policlinico Universitario Gemelli IRCCS, di fare per noi il punto della situazione.
Attraverso quali meccanismi il coronavirus danneggia i reni?
“I meccanismi attraverso i quali il virus può danneggiare i reni – spiega il professor Grandaliano – sono almeno due. In maniera diretta, visto che in studi autoptici è stata dimostrata la presenza del virus a livello renale, sia nelle cellule tubulari che nelle cellule epiteliali del glomerulo (meccanismo di tossicità diretta del virus). Uno studio autoptico condotto a Wuhan, ha dimostrato la presenza di danno renale acuto nei reni di 9 pazienti su 26 e 7 di questi presentavano particelle di coronavirus nei reni. I reni, infatti, sono particolarmente ricchi di recettori ACE2 (fino a 100 volte tanto quelli riscontrati nel tessuto polmonare), che rappresentano la porta d’ingresso del virus nelle cellule.
Poi ci può essere un meccanismo legato alla famosa tempesta citochinica, a questa gravissima reazione infiammatoria sistemica che può avere ripercussioni a livello renale”.
Citochine e mediatori dell’infiammazione possono danneggiare il parenchima renale sia direttamente sia indirettamente. Sempre nei casi autoptici ci sono evidenze di infiltrati infiammatori a livello del rene, segni di attivazione della cascata del complemento e un importante danno endoteliale, lesioni queste potenzialmente riconducibili all’azione delle citochine pro-infiammatorie presenti in circolo.
Questi mediatori circolanti possono, però, danneggiare il rene anche indirettamente attraverso ipossia, shock e rabdomiolisi (molti pazienti con Covid-19 presentano segni di danno muscolare, testimoniato da un aumento delle CPK nel sangue).
I reni sono anche organi endocrini; un danno ne compromette la capacità di produrre eritropoietina (l’ormone che stimola il midollo osseo a produrre globuli rossi) e vitamina D e altera la regolazione della pressione arteriosa. Ma il virus potrebbe anche annidarsi all’interno del rene e continuare ad essere eliminato attraverso le urine, una volta scomparso da altre parti del corpo.
Insufficienza renale nei pazienti Covid
“Il danno renale nei pazienti Covid – commenta il prof. Grandaliano – si può evidenziare in diversi modi. L’incidenza di insufficienza renale acuta oscilla dal 5 al 30% dei pazienti con Covid-19, sia nei reparti di degenza, che più frequentemente in terapia intensiva. Ma questi pazienti possono sviluppare un danno renale meno evidente, come dimostrato da uno studio cinese su oltre 700 pazienti dove oltre il 40% dei pazienti presentava anomalie urinarie, in particolare proteinuria, che è segno di un danno renale. Una cosa che non sappiamo, per cui sarà importante monitorare nel tempo questi pazienti, anche dopo la dimissione, è quali conseguenze potrà avere questo danno renale acuto legato al virus nel lungo termine. Non sappiamo infatti se questi pazienti avranno problemi renali o meno, in seguito”.
Uno studio cinese prospettico su 701 pazienti con Covid-19 ricoverati presso un grande ospedale di Wuhan ha evidenziato che nel corso del ricovero il 5,1% di loro ha presentato un episodio di insufficienza renale acuta. I soggetti con questa complicanza hanno un rischio di mortalità ospedaliera aumentato in maniera significativa, ma anche un aumento della creatininemia e dell’azotemia o la presenza di proteinuria e di ematuria all’ingresso risultava associato ad un maggior rischio di mortalità.
La presenza di insufficienza renale al momento del ricovero o la comparsa di insufficienza renale acuta sono condizioni che si associano a un aumento della mortalità durante il ricovero. Questo rischio aumenta con l’età (> 60 anni), negli ipertesi, nei coronaropatici.
Un monito dunque ai medici a prestare maggior attenzione ai pazienti con queste caratteristiche, monitorando con attenzione gli indici di funzionalità renale nei soggetti ricoverati per Covid-19.
Dai nefrologi la proposta di un trattamento per contenere la ‘tempesta citochinica’
L’FDA ha di recente dato il via libera all’aferesi per il trattamento della tempesta citochinica. “L’aferesi – spiega il prof. Grandaliano – consiste nel far passare il sangue del paziente attraverso un apposito filtro, che rimuove le proteine infiammatorie (citochine), la cui concentrazione aumenta in maniera abnorme in corso di infezione e che sarebbero alla base dei gravi danno a carico del polmone e forse anche dei reni indotti dal Covid-19. ‘Scremando’ il sangue di queste proteine (le citochine) potrebbe aiutare a proteggere gli organi dal danno da queste indotto. Il nostro è l’unico centro in Italia il cui comitato etico ha già approvato questo trattamento; siamo pronti dunque a partire”.