Roma, 17 marzo 2020 – “Attenzione a costruire gerarchie tra fenomeni simili che potrebbero non apparire tali solo per ragioni di differente metrica applicata, soprattutto quando manca una plausibilità epidemiologica o assistenziale della differenza”. Questo il monito principale dell’ Associazione Italiana di Epidemiologia (AIE) che emerge da un primo bilancio sull’epidemia Covid-19.
L’AIE, infatti, basandosi sull’analisi dei dati forniti dalla protezione civile il 16 marzo, rileva: “Si osserva una certa disomogeneità nel ricorso attivo ai tamponi tra differenti aree del Paese. Lo si ricava analizzando il numero di tamponi effettuati in Veneto, pari a 7,1 ogni 1.000 abitanti rispetto al 4,3 della Lombardia e al 2,9 dell’Emilia Romagna. Tale strategia condiziona alcuni indicatori: il Veneto ha un tasso di incidenza pari a 5 x 10.000 abitanti, rispetto ad un tasso triplo per la Lombardia (14,5). La minore gravità dei casi veneti rispetto a quelli lombardi – (condizionata sempre dall’effetto del diverso criterio di reclutamento dei casi) – si riflette anche nella stima di letalità ( che risulta di circa due terzi più bassa in Veneto rispetto alla Lombardia) e nella quota di soggetti in isolamento domiciliare (setting assistenziale dedicato ai casi meno gravi in quanto asintomaci o paucisintomatici (con scarsi sintomi): 71 % degli attualmente positivi in Veneto, vs (contro) il 34% in Lombardia. L’Emilia Romagna, invece, si colloca in una posizione intermedia rispetto a Veneto e Lombardia”.
L’AIE tratteggia anche la curva epidemica, sfruttando i dati diffusi, a partire dal 24 febbraio. Gli stessi dati permettono di abbozzare tale curva – anche se solo sugli “attualmente positivi” – di circa 20 giorni, che per le principali regioni del Nord è un dato interessate, perché può fornire qualche indicazione, da confermare con i dati dei prossimi giorni. Per la Lombardia e il Veneto il tasso di crescita dei nuovi casi appare rallentato, mentre in Emilia Romagna, in Piemonte e nelle Marche il trend è ancora in crescita.
È importante continuare a valutare le curve epidemiche, segnalando anche le date dei provvedimenti restrittivi emanati dal governo, per misurarne l’efficacia in termini di diffusione del contagio. Tali provvedimenti dovrebbero tradursi prima in un appiattimento e poi in un’inversione di tendenza della curva epidemica.
Alla luce dei dati attuali e in considerazione dei provvedimenti restrittivi in corso, è ancora possibile nelle regioni del Centro-Sud intervenire per raggiungere tassi di incidenza più contenuti. I dati quotidiani forniti dalla Protezione Civile permettono la costruzione di alcuni indici statistici, ancorché grezzi, considerato che non è contestualmente disponibile la stratificazione dei casi per sesso, età e comorbidità. Inoltre, la concitazione del momento non garantisce l’uniformità delle definizioni e delle procedure di raccolta dati, lasciando lo spazio a possibili distorsioni, in particolare per la mortalità.
La Protezione Civile è consapevole dei problemi legati all’attribuzione delle cause di morte, tant’è che essa stessa ha avvertito che il conteggio di queste ultime sarà definitivo previo controllo da parte dell’Istituto Superiore di Sanità.
Per questi motivi e considerata la consistenza dei numeri, ad oggi è possibile commentare soltanto limitati aspetti di quanto accade in alcune Regioni del Nord Italia, perché l’epidemia non si è ancora sufficientemente estesa altrove con numeri che ne consentano considerazioni di rilievo.
Inoltre, l’AIE invita alla cautela su pronostici catastrofici: in questo momento la Lombardia (la regione più colpita) ha un tasso di incidenza pari a 0,14%, il che significa che per raggiungere l’1%, il numero dei casi totali, dovrebbe quasi decuplicare, quindi scenari che prevedono il contagio della metà della popolazione appaiono allarmi ingiustificati. La vera preoccupazione dell’emergenza rimane, perciò, la saturazione dei posti letti disponibili in terapia intensiva.
Da AIE anche il monito al mondo delle istituzioni: “Va rilanciato il confronto tra professionisti di sanità pubblica impegnati nell’epidemia da nuovo coronavirus, al fine di fornire strumenti di valutazione e previsione dello scenario in atto e contribuire a mettere a punto le strategie più efficaci per monitorare e contrastare la diffusione del virus. In tal senso, va potenziato il ricorso all’epidemiologia di campo che consente di investigare tempestivamente sulle fonti di esposizione e interrompere la catena di trasmissione. I cinesi ci hanno insegnato che il tempestivo “contact tracing and testing” è lo strumento più efficace, insieme alla distanza sociale, per sconfiggere l’epidemia. L’applicazione di metodi di modellistica epidemica mostra l’importanza di poter pervenire a dati il più possibile esatti per stimare le necessità di strutture assistenziali e, soprattutto, di posti letto in reparti ospedalieri di isolamento e ancor più in quelli di Terapia Intensiva. La risposta all’emergenza dev’essere basata su evidenze scientifiche, ma affinché queste ultime siano lette in modo puntuale e critico e tecnicamente appropriato occorre ricorrere agli epidemiologi: figure altamente formate e specializzate alla trattazione di questi dati. Gli epidemiologi italiani, infine, mettono in guardia sui rischi di una comunicazione sbagliata e invitano ad utilizzare termini precisi ed epidemiologicamente corretti per non ingenerare confusione: quando si presentano i dati dei flussi informativi non possono esserci imprecisioni ed eccessiva semplificazione, perché non si assolve ai bisogni d’informazione effettivi”.