Prof. Luca Richeldi, direttore dell’UOC di Pneumologia del Policlinico Gemelli di Roma, presidente della Società Italiana di Pneumologia e membro della Commissione del tavolo tecnico scientifico che supporta il Governo nella gestione della pandemia: “Queste pandemie sono delle realtà e non solo delle ipotesi, è bene mantenere un sistema di attivazione e preparazione per questo tipo di eventi che deve essere sempre pronto”
Roma, 9 maggio 2020 – È appena partita la ‘Fase due’ ma già si pensa alla possibilità di una nuova ondata di infezione da Covid-19. Come reagirà il Sistema sanitario con i suoi ospedali e la medicina territoriale? Cosa fare perché non si ripeta l’ecatombe che si è verificata nelle RSA? A fare chiarezza con l’agenzia di stampa Dire è il prof. Luca Richeldi, direttore dell’UOC di Pneumologia del Policlinico Gemelli di Roma, presidente della Società Italiana di Pneumologia e membro della Commissione del tavolo tecnico scientifico che supporta il Governo nella gestione della pandemia.
Dall’alto della sua esperienza come pneumologo i pazienti Covid che hanno riportato gravi forme di polmonite, una volta dimessi, hanno una capacità di recupero totale della funzionalità respiratoria oppure c’è una perdita irreversibile? Inoltre hanno bisogno anche di una riabilitazione?
“Dipende da caso a caso, stiamo facendo esperienza perché gli aspetti longitudinali nel tempo li stiamo raccogliendo adesso, sia all’interno del nostro ambulatorio disciplinare che è stato attivato qui al Gemelli, ma anche in altre parti di Italia per capire l’interessamento a livello polmonare sui pazienti più gravi. Alcuni di loro hanno dei residui che si evidenziano con la Tac al torace e con le prove di funzionalità respiratoria. Questa non è una cosa esclusiva del Covid. Tutte le persone che sono state affette da polmonite grave possono riportare questi residui, si tratterà di vedere se sono danni permanenti o progressivi e se verranno via via recuperati. In questo campo, come per le polmoniti severe, la riabilitazione respiratoria, nella fase di recupero è una misura che noi mettiamo in campo”.
Tutti parlano di una nuova ondata di infezioni nel periodo autunno-inverno, è così? E se sì, state programmando delle linee guida sui sintomi che possono essere confusi con altre forme influenzali di stagione che possono creare allarmismo?
“La confusione con i sintomi di stagione è inevitabile perché, come è già successo a gennaio e febbraio, il picco epidemico d’influenza, essendo i sintomi sovrapponibili, è difficile da distinguere. Quindi sono due le cose che sono state fatte e che si faranno ancora, e cioè incrementare le campagne per incoraggiare la popolazione a sottoporsi al vaccino antinfluenzale. Nelle categorie a rischio deve essere fatto. Spero quest’anno si registri una maggiore adesione perché ovviamente più le persone sono vaccinate, meno si ammalano d’influenza e più contribuiscono a questo confondimento generale. Inoltre ci sono buone probabilità che tra ottobre e novembre ci possa essere un’altra ondata epidemica, vedremo anche però cosa succederà da oggi e fino ad allora. In ogni caso saremo molto più consapevoli e preparati su quello che ci aspetta, le strutture sanitarie saranno maggiormente preparate e ci sarà maggiore disponibilità di tamponi diagnostici. Quindi c’è il rischio di dover affrontare nuovamente il virus ma saremo anche più attrezzati rispetto a qualche mese fa”.
Alla luce del calo dei contagi e l’inizio della ‘fase 2’ riprendono per gradi le attività lavorative e sociali, al contempo però ripartono le allergie stagionali. Queste possono essere un nuovo veicolo d’infezione respiratoria? Avete valutato, anche nel tavolo tecnico-scientifico, questa possibilità?
“Sì, ne abbiamo discusso, ma non ci sono dati che in questo momento indicano che le persone allergiche o le allergie stagionali siano un fattore di rischio per l’infezione da Sars-Cov2, quindi direi che le persone allergiche possono stare abbastanza tranquille ma devono rivolgersi sempre al proprio medico per le terapie che fanno stagionalmente, in particolare i farmaci antistaminici e antinfiammatori che devono essere assunti per combattere la sintomatologia allergica. Direi però che in questo momento non rappresentano uno specifico fattore di rischio per questa malattia”.
La figura del pneumologo, in questa pandemia, ha avuto importanza strategicamente equivalente al ruolo dei virologi nella diagnosi e cura della malattia da Covid-19?
“Questa è una domanda un po’ complicata, diciamo che quella dei virologi e microbiologi, pneumologi, anestesisti, internisti tutti si occupano di aspetti diversi, tutti utili e complementari per combattere il virus. Sicuramente i pneumologi sono stati sempre in prima linea soprattutto nelle aree più colpite, in particolar modo la Lombardia lavorando con il supporto della terapia sub-intensiva che ha dato inizialmente un contributo maggiore a cercare di tenere fuori dalle terapie intensive quanti più possibile i malati. E poi naturalmente si è operata soprattutto per i pazienti colpiti da polmonite. Ricordiamoci che questi sono pazienti che hanno una grave ipossemia, gravi danni degli scambi gassosi quindi dall’ossigenoterapia alla ventilazione non invasiva il pneumologo si occupa di tutte queste attività. Certamente collabora con le altre figure citate e tutta l’altra schiera di specialisti anche come i radiologi e i riabilitatori. Tutti sono utili e indispensabili per dare la migliore risposta di cure a questi pazienti”.
Questa lezione cosa ci ha insegnato per trovarci pronti e per fare in modo che nelle RSA e sul territorio non accada quello che invece è successo?
“Ci ha insegnato che siamo abbastanza vulnerabili, non solo noi ma tutto il mondo. Inoltre ci evidenzia che queste pandemie sono delle realtà e non solo delle ipotesi e che è bene mantenere un sistema di attivazione e preparazione per questo tipo di eventi che deve essere sempre pronto. Questo è quello che sta facendo il Governo italiano e anche altri governi. Ricordo che oggi esiste una rete di Covid Hospital, che oggi sono destinati al Covid-19 che speriamo venga risolto abbastanza rapidamente ma che un domani potrebbero essere utile per altre emergenze epidemiche che potrebbero verificarsi. Questa lezione ci ha insegnato che le pandemie non sono solo una ipotesi ma una realtà ed è per questo che i sistemi si devono preparare. Credo che il nostro sistema sanitario si stia preparando e rimarrà preparato. Quello che è accaduto nelle RSA e sul territorio è stato anche una lezione. La medicina territoriale, anche alla luce di questa emergenza sanitaria, deve essere maggiormente finanziata e mantenuta a livelli di efficienza alti. In caso contrario si può mettere a rischio la vita di molte persone”.