Su Digestive and Liver Disease pubblicato uno studio Gemelli e Università Cattolica su marcatore dell’infiammazione intestinale i cui elevati livelli nei pazienti con coronavirus potrebbero indicare la gravità della malattia polmonare correlata al virus
Roma, 1 ottobre 2020 – Un nuovo biomarcatore potrebbe rappresentare un indicatore di rischio per le forme gravi di Covid-19. Si chiama calprotectina fecale e il suo dosaggio aiuterebbe dunque a individuare e a attenzionare i pazienti più a rischio sin dal momento della diagnosi. Una lettera appena pubblicata su Digestive and Liver Disease rivela infatti che la presenza di elevati livelli di calprotectina fecale si associa a forme più aggressive di infezione polmonare da SARS CoV-2, in particolare negli uomini.
Autrice della lettera è Veronica Ojetti, responsabile UOS Organizzazione delle procedure in emergenza urgenza del Dipartimento di Scienze dell’emergenza, anestesiologiche e della rianimazione della Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS e ricercatore di Medicina Interna all’Università Cattolica, campus di Roma.
L’idea di dosare i livelli di questo marcatore di infiammazione intestinale, per valutarne la correlazione con la gravità della malattia, nasce dall’osservazione che molti pazienti con Covid-19 presentano sintomi gastrointestinali, in particolare diarrea. L’interessamento intestinale del Covid-19 è dovuto al fatto che a questo livello sono particolarmente numerosi i recettori ACE-2, che rappresentano la porta d’ingresso del virus nelle cellule.
La calprotectina è una proteina prodotta da un tipo particolare di globuli bianchi (i neutrofili) e segnala la presenza di un danno a carico della mucosa intestinale. Il suo dosaggio si effettua su un campione di feci. È un esame di facile esecuzione, reperibile presso numerosi laboratori.
“Trovare la calprotectina nelle feci – spiega la gastroenterologa Veronica Ojetti – è indice della migrazione dei neutrofili nell’intestino e quindi dell’instaurarsi di un processo infiammatorio. La novità di questo studio è che un elevato livello di calprotectina delle feci, anche al momento della diagnosi di Covid-19, può rappresentare un fattore predittivo di una maggior aggressività della malattia, in particolare a livello polmonare (polmonite da SARS CoV-2). Dunque, monitorare la calprotectina fecale può aiutare il medico a valutare una possibile evoluzione della malattia in senso peggiorativo”.
I sintomi gastrointestinale nel Covid-19 sono la diarrea, vomito e dolori addominali. Nello studio realizzato al Gemelli, su 65 pazienti, uno su 4 presentava sintomi gastro-intestinali che correlavano con elevati livelli calprotectina.
“Questi sintomi – prosegue la dottoressa Ojetti – compaiono spesso prima dell’interessamento polmonare. Quindi i pazienti con sintomi gastrointestinali e elevati livelli di calprotectina andrebbero considerati a rischio di sviluppo di una malattia polmonare. Il livello di rischio aumenta quando i livelli di calprotectina fecale superano i 50 mcg/gr. Dallo studio sono stati esclusi pazienti con malattie infiammatorie intestinali (che hanno elevati livelli di calprotectina legati alla loro malattia di base), pazienti oncologici o con cardiopatie e nefropatie gravi”.
“I risultati del nostro studio, al quale hanno contribuito gli infettivologi Massimo Fantoni e Rita Murri e le dottoresse Eliana Troiani e Teresa De Michele dell’UOC di Chimica, Biochimica e Biologia Molecolare Clinica, diretta dal professor Andrea Urbani, sono molto promettenti ma andranno confermati da ulteriori studi, anche effettuati nel corso del follow up del Covid-19”, conclude Ojetti.