Roma, 4 agosto 2020 – “Inaspettato ma non inatteso, il Covid-19 è stato come un vulcano che zampillava e che ad un certo punto ha eruttato, non potevamo non immaginare che sarebbe accaduto”. Stefano Vella, infettivologo ed esperto di salute globale di fama internazionale, è molto chiaro su questo aspetto e richiama l’attenzione su chi continua a rilanciare messaggi fuorvianti. Il virus non è stato sconfitto né si è indebolito, è necessaria cautela e responsabilità individuale.
Lei è fra i maggiori esperti di Aids, epidemia che uccide ancora milioni di persone. Che errori potevano essere evitati nell’affrontare il Covid-19?
Senza dubbio ritengo colpevole il ritardo, non tanto nel prevederlo, ma nell’accorgersi che stesse accadendo. Avevamo già avuto altri casi come la Sars, la Mers e sapevamo già dei salti di specie dai pipistrelli. A questo ritardo è seguita la presunzione, di noi occidentali di pensare di poter far fronte a tutto.
E mentre i piani pandemici non erano aggiornati…
Sì e questo non riguarda solo in Italia, la pandemia è globale e non possiamo non pensare a sconfiggerla globalmente. Un altro errore è stato anche quello di aver affrontato il virus inizialmente solo negli ospedali. Sappiamo da tempo che le grandi pandemie vanno invece affrontate nei territori, dove è possibile maggiormente tenere sotto controllo i focolai, tracciare e isolare le comunità di persone coinvolte.
A maggio, in una intervista, dichiarava che il virus tornerà a ottobre. È ancora verosimile come ipotesi?
È inevitabile. Il virus non è andato via, né è diventato improvvisamente più buono. Adesso che siamo più all’aperto trasmette meno ma trasmette, non è un caso che sono colpiti i più giovani che molto spesso sono asintomatici. A ottobre riprenderà fiato come tutte le malattie respiratorie, anche perché staremo maggiormente in luoghi chiusi. Resta fondamentale il distanziamento fisico, e se stiamo assembrati senza mascherine, basta un portatore, magari asintomatico, ed ecco che molti si possono infettare: poi “valli a ripescare”!
È molto importante anche l’informazione ai cittadini: ci son segni inequivocabili di infezione, oltre alla febbre e alla tosse, come la perdita del gusto e dell’olfatto, che sono segni patognomonici e devono subito portare le persone a rivolgersi al proprio medico o avvertire i numeri telefonici speciali.
In Italia stiamo avendo certamente un buon trend epidemiologico, ma il numero di nuovi casi è, più o meno, sempre lo stesso. E siamo circondati da paesi dove ripartono le chiusure perché si sono rialzati i contagi. Non possiamo rispondere a questa cosa dicendo che nel paesino sperduto sull’Appennino non abbiamo casi. Questo è bene, ovvio, ma la pandemia è globale, e non può essere affrontata come un fatto locale.
Sono preoccupato perché i casi continuano ad esserci quotidianamente e speriamo regga il sistema di tracciamento. Senza pensare al fatto che a causa del Covid-19 molte prestazioni sanitarie sono saltate, la prevenzione e gli interventi di vario tipo, rischiamo di accumulare un ritardo enorme anche su questo fronte.
È possibile un nuovo lockdown?
Non si può rifare un lockdown totale per tanti motivi, anche economici, ma si può pensare a chiusure localizzate per permettere – laddove necessario – di isolare i casi e i contatti. Oggi meno persone vanno in ospedale perché l’età media dei nuovi infetti si è abbassata moltissimo e sappiamo che nei giovani l’infezione è molto meno grave. E, poi, abbiamo imparato a trattare la malattia e sappiamo gestire meglio i danni che questo virus può fare, non solo a livello respiratorio.
Cosa pensa della riapertura delle scuole?
Devono riaprire. Ma il rischio c’è, perché i bambini sono i più grandi trasmettitori di tutte le malattie respiratorie. Sicuramente è buona l’idea di fare i test sierologici ai docenti e al personale.
Abbiamo tutti visto gli aspetti più atroci del virus, quali sono gli effetti meno urlati sul corpo umano che hanno comunque conseguenze significative sulla salute di chi lo prende?
In molti casi ci sono seri fenomeni tromboembolici, da qui l’uso dell’eparina che può cambiare il decorso. La malattia, nei casi più impegnativi, può lasciare tracce molto importanti a livello polmonare, che possono persistere anche nelle persone guarite.
Abbiamo ormai contezza che un buon 80 per cento di persone sono asintomatiche, ma nei restanti si sviluppa un disturbo sistemico non solo polmonare, il virus può infettare il rene, il miocardio, il cervello. La polmonite può essere devastante soprattutto per gli anziani, mentre sappiamo che i giovani reggono meglio.
(fonte: Network Italiano Salute Globale)