Milano, 28 aprile 2020 – “Ansia, panico, preoccupazioni somatiche, stati depressivi aumentano in questo periodo”, dice il dott. Paolo Cozzaglio, primario dell’Area Psichiatrica DCA Olallo Valdes, Centro S. Ambrogio Fatebenefratelli di Cernusco sul Naviglio (MI). L’emergenza Covid-19 non riguarda solo le strutture di riabilitazione ma anche le famiglie che debbono farsi carico dei malati psichiatrici in casa, provati dallo stress del lockdown.
Dott. Cozzaglio, come cambiano in tempi di Covid-19 i nostri servizi psichiatrici?
L’infezione da SARS-Cov2 (Covid-19) è diventata rapidamente una pandemia e quindi un grave problema di salute e di ordine pubblico. In questo contesto tutta l’attenzione dei protocolli di cura, delle autorità e dei media è andato verso l’emergenza sanitaria e, in ambito medico, verso la terapia intensiva, la rianimazione, la medicina d’urgenza.
La non chiarezza del quadro clinico e della viremia e i ritardi nelle misure di isolamento hanno (in una prima fase, almeno sino ad oggi) distolto l’attenzione dall’effettiva prevenzione del contagio, con le catastrofiche conseguenze che possiamo ora vedere sulle fasce più deboli della popolazione e sulle realtà comunitarie che le assistono: sicuramente le RSA (residenze sanitarie assistenziali, ex “case di riposo”), ma anche le comunità per disabili e le comunità psichiatriche.
Per quanto riguarda la psichiatria, è sempre stata una disciplina medica che non è stata riconosciuta (e spesso non si riconosce) appartenente di diritto e merito alla Medicina con la M maiuscola, a cui afferiscono tutte le altre specialità. II paziente psichiatrico è stato da sempre collocato ai margini della società civile anche come contesto ambientale.
Il filosofo e storico della scienza Michel Focault ha bene evidenziato che i manicomi sono stati sempre posizionati fuori dal contesto urbano e che i luoghi prescelti coincidevano spesso con i lebbrosari. Una coincidenza significativa che ci proietta su altre grandi pandemie della storia (la lebbra, la peste).
Anche nel contesto del Covid-19 i pazienti psichiatrici e le comunità terapeutiche che li accolgono sono stati completamente dimenticati, nessuno ne parla. Gli stessi DSM (dipartimenti di salute mentale) si sono mossi in modo sparso e non hanno concordato dei piani d’azione coerenti.
I nostri centri di riabilitazione psichiatrica si sono dovuti pertanto ‘autogestire’ per adattare alle nostre realtà i protocolli per scongiurare e contenere il contagio, con la scarsità di rifornimento dei mezzi di protezione individuale (DPI) che ben sappiamo e con l’impossibilità di effettuare tamponi diagnostici sia per gli ospiti ricoverati che per i dipendenti. Ancora oggi l’attenzione delle autorità pubbliche nei nostri confronti è purtroppo marginale.
La nota positiva in questa delicata situazione è un’attiva collaborazione tra le nostre direzioni, i medici, il personale e gli ospiti stessi che ci sta consentendo di contenere i danni in questo difficile periodo storico. Una forte assunzione di responsabilità da parte di tutti.
Le misure per contrastare la diffusione del coronavirus hanno cambiato le abitudini di tutti. Lo stesso vale per i pazienti psichiatrici? Come cambia la loro giornata? Quali sono le maggiori attenzioni in questo momento?
I pazienti psichiatrici da questo punto di vista hanno avuto un comportamento esemplare. Se si eccettuano pochi casi singoli che comprensibilmente hanno mal tollerato inizialmente le restrizioni, la maggior parte dei pazienti è stata estremamente collaborativa, comprensiva e di sostegno al lavoro di medici, infermieri e personale con gratitudine visibile, spesso anche dichiarata.
Quando, ben prima dei tentennamenti regionali e nazionali, siamo stati costretti a ‘chiudere’ le comunità e a vietare con rammarico le visite di parenti e conoscenti, inizialmente vi sono state delle proteste, soprattutto da parte di alcuni parenti che giudicavano eccessive le nostre preoccupazioni e la nostra cautela. Ora tutti comprendono e ci ringraziano.
I pazienti hanno dovuto adattarsi a riorganizzare improvvisamente le loro abitudini di vita, le più sane come le uscite all’aperto e gli incontri con le persone esterne e quelle più voluttuarie come il prendersi un caffè o frequentare un bar esterno. Abbiamo comunque cercato di garantire il più possibile lo svolgimento delle consuete attività riabilitative, garantendo le distanze di sicurezza e tutte le precauzioni raccomandate.
Per i pazienti più giovani è stato possibile mantenere la frequenza scolastica online o i contatti con l’esterno tramite il cellulare e le videochiamate. In questo caso la tecnologia è stata veramente d’aiuto e per molti pazienti è stata un’occasione per avere ancora più dimestichezza con l’uso dei computer e degli smartphone.
Quali misure sono state prese per proteggere gli operatori sanitari?
A parte le raccomandazioni estese alla popolazione generale – e di sempre per gli operatori sanitari – come il lavarsi accuratamente e di frequente le mani, l’uso di gel idro-alcolici, il mantenere la distanza di sicurezza di almeno 2 metri (1 è poco) e gli abituali presidi in dotazione al personale, si è ovviamente intensificato l’uso dei DPI.
Inizialmente, data la scarsità dell’offerta e il sequestro degli ordini effettuati da parte della Protezione Civile a favore degli ospedali generali, abbiamo dovuto razionalizzare il più possibile l’uso delle mascherine chirurgiche, che venivano date ai pazienti sintomatici (anche solo una sindrome da raffreddamento e la tosse) e agli operatori che se ne occupavano o che presentavano, a loro volta alcuni sintomi da raffreddamento.
Questo per scongiurare il più possibile il contagio tramite droplets (le goccioline di saliva sospese nell’aria) in carenza di presidi. Per aumentare il numero di mascherine, alcune sarte di Cernusco s/N hanno iniziato a confezionare delle mascherine con telo di cotone e tasca dove inserire un foglio filtrante; ne riuscivano a produrre circa 60 al giorno ed è stato un aiuto essenziale in un primo momento di difficoltà di approvvigionamento.
Per quanto riguarda l’assistenza di pazienti febbrili o Covid-positivi, abbiamo seguito le indicazioni dell’OMS e quindi una protezione più elevata con mascherina filtrante FFP2, guanti, camice monouso, cuffia e calzari. La temperatura corporea e gli altri parametri vitali dei pazienti sono stati monitorati quotidianamente, per intercettare eventuali casi sospetti di Covid-19 precocemente.
All’ingresso dei Centri è stata istituita una ‘zona filtro’ per il monitoraggio della temperatura corporea degli operatori, dei fornitori e di tutto il personale amministrativo autorizzato all’ingresso. Un altro punto importante è stata la continua informazione degli operatori tramite comunicati e circolari e riunioni periodiche. Il servizio di mensa è stato mantenuto, ma riorganizzato con la garanzia delle dovute distanze di sicurezza.
Sottolineo però il punto più critico che è consistito nell’indisponibilità di effettuare controlli con tampone da parte delle aziende sanitarie pubbliche, anche per gli operatori che si ammalavano e dovevano assentarsi dal lavoro.
Quali sono i disturbi più diffusi che questa situazione può acuire? Quali consigli possiamo dare ai cittadini in quarantena?
Ovviamente le persone, noi compresi, devono convivere con l’incertezza e con un senso di tensione che aumenta. Ansia, panico, preoccupazioni somatiche, stati depressivi aumentano in questo periodo. Oltre alle cure mediche è importante il sostegno psicologico e molti professionisti si sono adattati (per fortuna) garantendo la prosecuzione delle terapie psichiatriche e psicoterapiche online (Skype, Whatsapp, Zoom e altri programmi di videochat la fanno da padrone in questo periodo).
Gli operatori sanitari, in particolare medici e infermieri sono sottoposti a situazioni di intenso stress e non devono sottovalutare l’impatto emotivo a lungo termine di queste sollecitazioni. Confrontarsi tra loro o con qualcuno per poter parlare delle proprie emozioni e preoccupazioni è molto utile.
Per le persone in quarantena il consiglio è di mantenere la calma e di tenere aggiornato sul proprio stato di salute il proprio medico di medicina generale, segnalando ogni comparsa o cambiamento dei sintomi. Gli ambienti devono essere puliti di frequente e arieggiati. Mantenere frequenti contatti con parenti e conoscenti è molto utile anche dal punto di vista psicologico, così come impegnare il proprio tempo anche in qualche attività ‘nobile’ come la lettura. Magari è l’occasione per dedicarsi a interessi che normalmente non possono essere svolti.
I timori del contatto sociale che stiamo acquisendo adesso, in cui chiunque si avvicini a meno di pochi metri di distanza è un potenziale nemico, rimarranno nel tempo?
È una bella domanda a cui penso che nessuno possa realmente rispondere, almeno in questo momento. Propongo solo una considerazione. Stiamo vedendo tutto l’aspetto negativo e spaventoso di questa pandemia da Covid-19. Spesso la situazione è paragonata a una ‘guerra’ da vincere contro un nemico potenzialmente mortale e insidioso. Forse però non viviamo solo questo.
La pandemia ci ha di fatto costretto a rivedere e a ripensare i nostri modi abituali di vivere. Ci stiamo accorgendo che il nostro modo rigido di considerare i contatti sociali, l’economia, la politica e persino l’inquinamento ambientale non regge veramente più, anche se ne parlavamo spesso, ma forse un po’ a vuoto.
Ora un cambiamento radicale è questione veramente di vita o di morte. Ci accorgiamo che dove non si vuole cambiare e continuiamo ostinatamente a mantenere le vecchie abitudini, il virus si diffonde sempre più. Vedo allora un’occasione di ripensamento e di radicale cambiamento. Il peggio sarebbe tornare alla “situazione come prima”. Starà a tutti noi, sia a livello individuale sia a livello collettivo, cogliere questa sfida.