Roma, 6 ottobre 2020 – Nino Cartabellotta, presidente della Fondazione Gimbe, è intervenuto ai microfoni della trasmissione “L’imprenditore e gli altri” condotta dal fondatore dell’UniCusano Stefano Bandecchi su Cusano Italia Tv.
Sulla situazione Covid in Italia. “Quello che stiamo osservando, soprattutto a partire dal mese di luglio, è l’incremento lineare dei casi positivi – ha affermato Cartabellotta – Noi facciamo un monitoraggio settimanale, che ovviamente sterilizza le fluttuazioni dei dati giornalieri. Fino alla terza settimana di luglio viaggiavamo su una media di 1.400 nuovi casi settimanali, quindi mediamente 200 al giorno, poi la curva ha iniziato a salire ed è arrivata fino ai 12.414 casi della settimana dal 23 al 29 settembre. Dal 30 settembre al 4 ottobre questa cifra è stata già superata. Quindi oggi siamo nella fase che si chiama di circolazione endemica del virus con crescita lineare dei nuovi casi”.
“Dei casi attualmente positivi, il 95% è in isolamento domiciliare, il 4,5% ricoverati con sintomi e lo 0,5% in terapia intensiva. Però questo trend dei casi attualmente positivi che partiva da 12mila a fine luglio, adesso è arrivato a 57.429, quindi dobbiamo immaginare un emissario che ogni settimana manda dei nuovi casi all’interno di un lago, che due mesi fa era un piccolo laghetto, ma ogni settimana questo lago si espande sempre di più, questa espansione progressiva può portare a far tracimare il lago”.
“Quando gli asintomatici contagiano le persone fragili, incrementano anche i numeri negli ospedali. A fine luglio avevamo 40 pazienti in terapia intensiva, oggi ne abbiamo 303. Gli ospedalizzati erano 732 e sono ora 3.287. È una crescita graduale e progressiva”.
Sulle contromisure. “L’errore da non ripetere è quello di aspettare il peggioramento importante dei numeri prima di prendere decisioni. Dobbiamo giocare d’anticipo contro il virus. Una delle cose che è stata trascurata nella fase iniziale, ma anche in quella di riapertura, è che il virus è in vantaggio su di noi di almeno 3 settimane. Questo vuol dire che i nostri comportamenti odierni, sia quelli virtuosi sia quelli dissennati, si riflettono sui numeri dopo 3 settimane. Se domani mattina mettiamo delle restrizioni, gli effetti li vediamo dopo 3 settimane. Questo ci ha portato a rincorrere sempre il virus. Bisogna essere tempestivi e non ripetere gli errori di sistema che abbiamo commesso”.
Sulle misure introdotte dal nuovo DPCM. “L’obbligo di mascherina all’aperto credo che in questo momento sia logico, per tutti i problemi legati ai vari assembramenti che si verificano fuori le scuole piuttosto che di fronte ai locali. A me piacerebbe che ci fosse un piano omogeneo e coerente, perché mi sembra assurdo che ci sia assembramento sui mezzi pubblici perché non riusciamo ad ampliare le corse degli autobus. Non vorrei che spostassimo tutte le responsabilità di un eventuale aumento dei contagi sui comportamenti dei cittadini”.
“La parte sanitaria, quella dei tamponi, di tracciamento e di isolamento dei positivi, non è mai stata potenziata come dovrebbe. Oggi il vero problema è non mandare in tilt il sistema di tracciamento territoriale, se questo salta è evidente che rischiamo un sovraccarico che poi finisce per aumentare la mortalità”.
Sulla trasmissione del virus. “L’emissione del droplet si distingue in due categorie: le goccioline grandi che rimangono nell’aria per breve tempo e la parte dell’aerosol che negli ambienti chiusi e poco ventilati può rimanere nell’aria per più tempo. È uno dei motivi per cui oggi la mascherina negli ambienti chiusi e poco ventilati protegge di più. Le due modalità richiedono in ambienti diversi sistemi di protezioni differenti”.
Riguardo alle terapie contro il Covid. “Purtroppo, a fronte di un grande impegno della comunità scientifica internazionale, oggi abbiamo ancora poche ragionevoli certezze sulle terapie. Dobbiamo capire su che cosa funzionano queste terapie. Funzionano sulla mortalità, sulla riduzione della ventilazione meccanica, sui ricoveri ospedalieri?”.
“Una terapia non è importante soltanto che sia efficace, bisogna dire anche su cosa è efficace. I cortisonici nei pazienti che hanno bisogno di ossigeno sono efficaci nella riduzione della mortalità e nella riduzione della ventilazione meccanica. Poi ci sono tanti farmaci anti-virali che vengono utilizzati, il più noto è il Remdesivir, che comincia ad avere qualche beneficio anche sulla mortalità, nettamente inferiore a quelli del cortisone, ma sempre in pazienti che richiedono ossigeno”.
Sul vaccino russo. “Sono state saltate alcune tappe della sperimentazione clinica. Il vero grosso problema è che noi oggi abbiamo bisogno di vaccini sicuri ed efficaci, saltare le tappe della ricerca non è mai cosa buona e giusta. Peraltro, essendo la Russia, al di fuori dell’EMA, fa un po’ per conto suo, staremo a vedere che succede”.
Sui posti letto in terapia intensiva. “Noi avevamo, prima della pandemia, circa 5-6mila posti letto, poi sono stati potenziati fino ad oltre 8mila. Ora c’è un ulteriore piano di potenziamento. Il problema è che si ragiona molto sui posti letto in terapia intensiva, ma il problema è anche legato al personale. Noi purtroppo abbiamo carenza di specialisti: anestesisti, degli infermieri esperti in terapia intensiva. Questo purtroppo è frutto dei tanti tagli nella sanità che sono stati fatti negli scorsi decenni. Attenzione, perché il problema reale non sarà di disponibilità di posti letto, bensì di personale. Dobbiamo definire il fabbisogno di personale in maniera programmatica e poi stabilire quanti medici, quanti specialisti e quanti infermieri occorrono. Il messaggio è: per ogni laureato in medicina ci deve essere una borsa di studio già garantita”.
Riguardo al MES. “Sul MES si sono fatti dibattiti di tipo ideologico, piuttosto che valutazioni dell’opportunità in termini finanziari, cioè se conviene o no. Ci si è dimenticati di dire all’opinione pubblica che il MES è un fondo che viene stanziato per la pandemia, quindi si possono coprire spese dirette ed indirette per la pandemia Covid. Quelle dirette sono facili da rendicontare, perché sono i tamponi, i farmaci, i dispositivi, mentre i costi indiretti sono molto più difficili da rendicontare, quindi se non c’è un piano adeguato per la rendicontazione dei costi indiretti e soprattutto un accordo Stato-Regioni per ripartire questo denaro, la politica non può limitarsi a dire: prendiamo i 37 miliardi e un’altra parte: non li prendiamo. Prima si fa il piano, poi si valuta quanti soldi si devono prendere dal MES”.
(fonte: Radio Cusano Campus)