Le librerie sono ben fornite di testi che riguardano il rapporto padre-figlio.
Ecco un primo saggio, che poi è un monologo interiore. Lo ha scritto, in modo magistrale, Michele Serra e ha per titolo, Gli sdraiati. Lo scrittore entra con coraggio in un luogo colmo di mistero. Attraversa i conflitti, le occasioni perdute, i sensi di colpa legati alla sua funzione paterna. Prova a stabilire un contatto con suo figlio e vi riesce solo dopo notevoli difficoltà. Si domanda in che luogo si sono perduti, dove potranno ritrovarsi. Nell’intento di stabilire una relazione, il padre invita il figlio (nativo digitale, per meglio dire, uno sdraiato) a un’escursione in montagna. Nell’ascesa, che è al tempo stesso comica e simbolica, emergono rivelazioni su aspetti ignoti delle reciproche identità. Il tutto è calato in un clima di rabbia, di malinconia e d’amore, percorso da una domanda pressante: “Cosa abbiamo da lasciare ai nostri figli?”.
A questo interrogativo, Massimo Recalcati da tempo prova a dare risposta. Inizialmente con il lavoro, Cosa resta del padre?, dove affronta il tema dell’eredità, o meglio, della possibilità di trasmettere il Desiderio da una generazione a un’altra. Lo psicoanalista ritiene che la dissoluzione dell’autorità paterna abbia infranto ogni tentativo di stabilire e di restaurare un Ordine. Al padre resta dunque la possibilità di testimoniare le passioni e i progetti ma non quella di proporre i modelli o addirittura i valori. L’autore ha aggiunto di recente un nuovo contributo alla sua ricerca. Con, Il complesso di Telemaco, ha rivolto i riflettori sull’autorità simbolica del padre, dimostrando come essa abbia perso peso e di conseguenza sia tramontata. La figura del pater familias, verso la quale Recalcati non nutre alcuna nostalgia, si è esaurita, forse irrimediabilmente. La questione che adesso si profila è: Cosa resta del padre nel tempo della sua dissoluzione. Su questo lo studioso s’interroga, rovesciando, se è possibile, il più noto Complesso di Edipo. S’intrattiene, di conseguenza, non tanto sul tema della colpa quanto su quello della nostalgia. Presenta così la figura di Telemaco, quella del figlio che si volge all’orizzonte per vedere se dal mare giunge qualcosa. Quella del figlio che perviene alla malinconia per un padre glorioso, per l’eroe, in altre parole, per colui che espugnò Troia.
Su un versante simile, sebbene squisitamente letterario, Antonio Scurati ha pubblicato di recente un romanzo dal titolo Il padre infedele. Il libro, che ha il tono infiammato della confessione, narra la storia di un padre di una figlia di tre anni, che va alla ricerca della propria verità di uomo. Con uno sguardo implacabile e commosso, lo scrittore napoletano passa in rassegna i temi dell’accudimento, del disamore, della sessualità, sempre a fior di pelle, con quella sua scrittura impeccabile e creativa.
Su un analogo piano narrativo ma da un diverso angolo di visuale, Valerio Magrelli, fra i poeti più originali delle ultime generazioni, affronta il tema medesimo. In Geologia di un padre, Magrelli racconta il modo in cui trascrisse e poi raccolse per anni note sul conto del proprio padre. Quelle parole rimasero per molto sospese, si attese la loro sedimentazione, e quando riemersero, presero la forma di una delicata e struggente biografia dedicata al padre morto. Nel libro si descrive una figura molto amata con la quale però è stato necessario fare i conti. Anche in questo caso si colgono i segni di un’immagine paterna eroica ma fragile che consente al figlio di accedere a una comune appartenenza, a una sorta di “contagio”.
Per dirla con Marco Belpoliti, “Siamo eterni figli senza più padri, e padri senza veri figli”.
Storia assai complessa, iniziata da molto in verità, come informa il bel libro di Luigi Zoja, pubblicato qualche anno fa. L’analista junghiano, nel suo saggio Il gesto di Ettore, intraprende un viaggio nella storia del ruolo paterno, per argomentare sulla sua attualità e sulla sua rarefazione. Si va così da Ettore, che depone le armi per sollevare il figlio, a Enea che procede con l’ideale paterno sulle spalle e con il figlio per mano, fino a Ulisse, che lotta contro le sue ambiguità.
Lo studioso descrive “il paradosso del padre”, rilevando la sua intrinseca natura conflittuale. Il padre dovrà da un lato essere giusto e amorevole e dall’altro aggressivo e vincente. Dissociazione alla quale sembra aggiungersi il conflitto fra il desiderio di essere amati e la necessità di educare.
Siamo forse un po’ tutti Telemaco, perché almeno una volta abbiamo “guardato il mare aspettando che qualcosa da lì ritornasse.”