Roma, 13 agosto 2020 – Effettuato al Gemelli un eccezionale intervento di correzione della spina bifida in utero alla ventiseiesima settimana di gravidanza. A realizzarlo è stata un’équipe composta da ginecologi ostetrici e neurochirurghi della Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS e dell’Università Cattolica. Il bambino, al quale è stato dato il nome di Tommaso, è nato qualche giorno fa e sta bene. Ora proseguirà le cure presso il Centro spina bifida del Gemelli, struttura di riferimento nazionale.
Tommaso era affetto da una grave forma di spina bifida, il mielomeningocele, caratterizzata dalla mancata chiusura del tubo neurale a livello lombosacrale, con protrusione delle meningi e del midollo spinale a tale livello. La correzione chirurgica viene in genere effettuata dopo la nascita, ma questi difetti peggiorano nel corso della gravidanza. Per questo si è optato per una correzione precoce in utero.
Questo intervento è il risultato del lavoro di un team multidisciplinare che ha saputo coniugare la ricerca sui difetti di chiusura del tubo neurale alla diagnostica e alla chirurgia. Molti sono i protocolli attualmente in corso per meglio definire le cause della spina bifida e molte sono le speranze affidate alla chirurgia e alle nuove terapie di supporto per garantire a questi pazienti una migliore qualità di vita. Proprio al Centro per la cura e l’assistenza al bambino con spina bifida, dal 2007 Centro di riferimento della Regione Lazio, l’Università Cattolica ha destinato fondi del 5×1000 per finanziare progetti di ricerca che oggi hanno portato anche a questo risultato clinico.
Il bambino è stato operato alla ventiseiesima settimana di gravidanza lo scorso 4 giugno, con una tecnica di open surgery. La delicatissima anestesia è stata affidata al dottor Stefano Catarci della UOC Anestesia in Ostetricia, Ginecologia e Terapia del dolore 2, diretta dal professor Gaetano Draisci. Quindi, il professor Marco De Santis ha effettuato l’intervento ostetrico, coadiuvato dalla professoressa Lucia Masini.
Dopo aver inciso l’addome della mamma, con un taglio cesareo modificato, è stato ‘esteriorizzato’ l’utero sul quale è stata praticata un’incisione di 8 cm, facendo grande attenzione a non tagliare in prossimità della placenta, per non compromettere il prosieguo della gravidanza.
Dopo l’apertura del sacco amniotico, gli ostetrici sono arrivati al bambino. E qui è iniziata la fase neurochirurgica dell’intervento, durata 35-40 minuti e affidata al professor Gianpiero Tamburrini responsabile della UOC di Neurochirurgia Infantile della Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS e al dottor Luca Massimi.
“In visione microscopica – commentano i Neurochirurghi – abbiamo ricostruito il midollo che era letteralmente aperto e malformato. Lo abbiamo quindi riallocato nel canale spinale e infine effettuato la ricostruzione del piano meningeo e della cute”.
L’équipe ostetrica ha quindi ricucito il sacco amniotico, la parete uterina e infine la parete addominale della mamma. “Un’attenzione particolare – spiega il professor De Santis, responsabile della UOS Prevenzione, Diagnosi e Terapia dei Difetti Congeniti, afferente alla UOC di Ostetricia e Patologia Ostetrica diretta dal professor Antonio Lanzone, Ordinario di Ginecologia e Ostetricia all’Università Cattolica, campus di Roma – è stata riservata all’utero materno, sottoposto allo stress di un intervento chirurgico quando deve ancora ospitare un bambino che cresce. Per evitare che l’utero si contragga e che la sutura dell’incisione uterina si rompa, mettendo a rischio la gravidanza, alla madre vengono somministrati sia prima che dopo l’intervento alte dosi di solfato di magnesio, calcio antagonisti e progesterone”.
È il primo intervento di questo tipo effettuato in utero al Gemelli e uno dei primi in Italia. L’équipe del Gemelli nell’estate del 2018 aveva effettuato un training apposito presso l’Università Paulista di San Paolo (Brasile), considerato il centro di riferimento mondiale per questi interventi (oltre 300 quelli all’attivo), con il professor Sérgio Cavalheiro (neurochirurgo) e il professor Antonio Fernandes Moron (ostetrico del Dipartimento di medicina fetale).
“Le tecniche chirurgiche – commenta Claudia Rendeli, professore aggregato dell’Istituto di Clinica Pediatrica dell’Università Cattolica e responsabile della UOSD di Spina bifida e uropatie malformative del Dipartimento di Scienze della Salute della Donna del Bambino e di Sanità Pubblica del Gemelli, diretto dal professor Eugenio Maria Mercuri – sono fondamentali per la riparazione della lesione, ma molto importante è l’approccio multidisciplinare, vero punto di forza del nostro centro, che segue oltre 1.500 pazienti con spina bifida ed è un punto di riferimento a livello nazionale. Tommaso ora sarà seguito da un’équipe specializzata multidisciplinare con il neurochirurgo, l’ortopedico, il fisiatra, il gastroenterologo, il chirurgo pediatra, il neuropsichiatra infantile, tutte figure specializzate in questa patologia che sanno cogliere, il più precocemente possibile, eventuali danni secondari o segni di allarme e quindi porre rimedio il più rapidamente possibile. L’85% dei nostri assistiti ha un quoziente di intelligenza normale, va a scuola, fa sport; diverse nostre pazienti si sono sposate e hanno avuto bambini sani”.
I difetti del tubo neurale riguardano lo sviluppo del sistema nervoso e interessano circa 1 su 3.000-3.500 nati vivi in Italia. Compaiono molto precocemente, in genere nel primo mese di gravidanza, per questo è importante fare prevenzione assumendo acido folico da almeno tre mesi prima della gravidanza e per tutto il primo trimestre.
Le conseguenze della mancata chiusura del canale neurale, vanno da problemi motori agli arti inferiori, al mancato controllo degli sfinteri vescicale e rettale. Ulteriori possibili complicanze sono la sindrome di Arnold Chiari (uno stiramento delle tonsille del cervelletto all’interno del canale vertebrale, che comporta nel bambino disturbi di deglutizione o respiratori, fino all’arresto respiratorio) o la comparsa di idrocefalo, presente in oltre l’80% dei casi di spina bifida aperta.