Roma, 20 aprile 2020 – “Stiamo raccogliendo dati che potrebbero essere interessanti, anche sui bambini, per esempio, che non sono sintomatici in modo importante ma che hanno delle manifestazioni molto specifiche che stiamo valutando. Stiamo vedendo delle manifestazioni particolari soprattutto negli adolescenti, che somigliano ai geloni ma che difficilmente possono esserlo perché non sono in linea con la stagione. Segnalazioni di questo tipo stanno fioccando, ne vediamo sempre di più. La prima cosa a cui abbiamo pensato è stata una relazione tra questi geloni e il Coronavirus. E su questo stiamo indagando”.
È quanto dichiara all’agenzia Dire il dott. Andrea Locatelli, dermatologo al Papa Giovanni XXIII di Bergamo, uno degli ospedali italiani più colpiti dall’emergenza Coronavirus, e membro dell’Adoi (Associazione dermatologi-venerologi ospedalieri italiani e della sanità pubblica).
“Noi dermatologi – spiega Locatelli – veniamo chiamati nei reparti principalmente per fare consulenze quando si presentano nei pazienti manifestazioni cutanee durante l’infezione. È un campo nuovo e interessante: stiamo vedendo quadri cutanei che potrebbero essere in qualche modo associati al virus stesso, come alcuni esantemi per esempio, oppure alle terapie alle quali questi pazienti sono sottoposti. Alcuni farmaci sono usati abbondantemente e possono avere effetti collaterali anche a livello cutaneo. Non è sempre facile capire se si tratta di manifestazioni cutanee da farmaci, ma ci sono quadri che stiamo studiando perché la casistica è ampia”.
All’ospedale di Bergamo i dermatologi non si occupano “ovviamente dei pazienti intubati nelle terapie intensive – tiene a sottolineare Locatelli – Assistiamo per lo più tutte quelle persone, che sono la maggioranza, che necessitano di un ausilio respiratorio”.
Ma quali effetti possono avere sulla cute dei pazienti le maschere C-PAP (Continuous positive airway pressure, ndr), per esempio, e quali sulla pelle dei medici le mascherine di protezione indossate nelle terapie intensive per molte ore? “Sono ormai conosciuti da tutti gli effetti di quelle maschere molto aderenti, simili ad occhiali da sci, indossate dai medici nelle terapie intensive. Quelle maschere – spiega il dermatologo – esercitando una pressione abbastanza circoscritta su piccole zone di adesione, possono creare sicuramente piccole erosioni. Ai medici abbiamo dato dei consigli in questo senso, come per esempio quello di usare delle lamine di silicone per attutire l’impatto. Adesso però si iniziano ad usare sempre di più quella sorta di schermi che vengono tenuti dalla testa e abbassati su tutto il volto, che sono meno problematici”.
Quanto ai pazienti, Locatelli dice di non avere visto su di loro “grandi problematiche legate alle mascherine, perché non sono così aderenti come devono esserlo gli occhiali per gli operatori sanitari”.
Intanto si è sempre più diffuso l’utilizzo della posizione prona nelle terapie intensive per i pazienti con insufficienza respiratoria acuta, adottata per migliorare l’ossigenazione e favorire il drenaggio delle secrezioni. Avete osservato delle particolari piaghe da decubito? “No, la gestione delle piaghe da decubito non è diversa in questa tipologia di pazienti rispetto ad altri, è sempre la stessa – risponde il dermatologo del Papa Giovanni XXXIII – Su queste noi dermatologi siamo raramente chiamati in causa perché il personale infermieristico e medico delle terapie intensive è già sufficientemente addestrato”.
Locatelli parla poi di come i dermatologi, ma anche specialisti di altri settori, si sono dovuti ‘reinventare’ all’interno della nuova riorganizzazione dell’ospedale dettata dall’emergenza. “Non avevamo familiarità con alcuni termini, non sapevamo cosa fosse una C-PAP, ma soprattutto non eravamo abituati alla morte, perché i nostri pazienti difficilmente muoiono. Ci siamo trovati a dover gestire situazioni mai affrontate prima, come la comunicazione con i parenti, solo per fare un esempio. Per noi è stata un’esperienza del tutto nuova. Non è stato semplice all’inizio assistere pazienti con polmonite, perché non era il nostro campo e non avevamo padronanza dell’argomento. Abbiamo dovuto ricordare le vecchie reminiscenze degli studi fatti all’università, ma l’ospedale ha anche organizzato dei corsi veloci grazie ai quali abbiamo appreso l’Abc, spiegandoci per esempio come si regola l’ossigeno. In questa situazione di emergenza ci siamo ritrovati catapultati in una routine diversa dalla nostra quotidianità clinica, ma la solidarietà che si è creata tra i diversi medici è stata molto bella. Diciamo che l’aspetto interattivo tra le varie specialità è senz’altro uno degli aspetti positivi di questa nuova organizzazione a cui ci ha indotto l’epidemia”.
Gli italiani, nel frattempo, dovranno abituarsi ad uscire di casa sempre con la mascherina, ma il suo utilizzo, rassicura l’esperto, non avrà “nessuna conseguenza a livello della cute”. Per prevenire molte infezioni, in primo luogo il Coronavirus, sarà poi “fondamentale l’igiene delle mani”, perché rimuove i microrganismi che possono depositarsi sulla pelle a contatto con oggetti o superfici contaminati.
“Ma lavarsi le mani non deve diventare una mania – spiega Locatelli – Se stiamo a casa con i nostri familiari non è necessario lavarsi sempre le mani, mentre bisogna farlo quando ritorno a casa e sono andato al supermercato”. In linea generale le mani vanno lavate “ogni volta che non sono a casa e per qualche motivo mi devo toccare il volto”. Quanto ai guanti, questi danno una “finta sicurezza – dice l’esperto – perché il virus eventualmente rimane sulla loro superficie, quindi se mi tocco il viso mi infetto. Attraverso la pelle il virus non penetra, per cui anche se la mano è contaminata non succede niente. L’importante è che questa mano contaminata non venga portata al volto. Per questo ogni volta che mi tocco il viso le mani vanno lavate, altrimenti no”.
Negli anni passati il dermatologo Locatelli ha lavorato come consulente nella RSA Pio Albergo Trivulzio, il polo geriatrico più importante d’Italia, finito al centro di un’inchiesta della procura di Milano con l’accusa di aver nascosto casi di Covid-19 mettendo a rischio ospiti e i sanitari.
“Ho lavorato al Trivulzio come ambulatoriale anni fa e non so cosa sia successo – commenta Locatelli – Non ho le carte in mano e non sono in grado di giudicare. Quello che posso dire è che percepire il pericolo non è sempre facile, nemmeno per i decisori. Esistono dei protocolli per il contenimento delle infezioni in ospedale, ma sono calibrate sulle infezioni comuni che conosciamo; questa epidemia invece è eccezionale, un unicum nella nostra storia recente, per cui è ovvio che all’inizio ci possa essere stato un po’ di disorientamento. D’altronde gli stessi virologi all’inizio dell’epidemia non avevamo le idee chiare, alcuni parlavamo di un’influenza e pensavano che l’Italia non sarebbe stata toccata in maniera così importante, poi invece è successo tutt’altro”.