Roma, 21 aprile 2020 – “Non si può pensare a un ‘tana liberi tutti’ dal 4 maggio. È chiaro che un Paese non regge un lockdown completo per più di due mesi, non ci vuole un economista per capirlo, ma per noi epidemiologi naturalmente non sarebbe mai ora di ripartire. Saranno i politici a doversi fare carico di questa decisione, tenendo conto di tutte le sfaccettature del problema. Mi sembra logico che alcune attività comincino a ripartire in maniera graduale e parziale, ma si dovrà tener conto del fatto che il virus continuerà a circolare, pertanto dovremo tenere in piedi perlomeno le misure di distanziamento sociale”.
Lo dice l’epidemiologo Giovanni Rezza, direttore del dipartimento di Malattie Infettive dell’Istituto Superiore di Sanità, nel corso di un’intervista via Skype rilasciata all’agenzia Dire.
Di recente il governatore De Luca ha detto che se la Lombardia riapre, lui chiude la Campania… Ma polemiche a parte, quando si potrà uscire dai confini regionali secondo lei?
“De Luca ha usato come suo solito parole vigorose, ma un fondo di verità c’è – risponde Rezza – Non si tratta di fare Lombardia contro Campania, ma abbiamo già dato troppo con la correttezza politica all’epoca dei voli da e per la Cina oppure in quella dei ‘ristoranti cinesi sì, ristoranti cinesi no’, tutti ricorderanno quel tipo di dibattito e anche di polemica. Allora, sarà la politica a decidere, ma se io dovessi dare un parere, se ci fossero zone del Paese ad alta incidenza e zone a bassa incidenza, naturalmente direi che la mobilità andrebbe considerata. Bisogna fare di tutto affinché il virus non si diffonda. Poi quale sia la modalità per farlo lo si vedrà”.
Ospedali Covid e luoghi dove tenere in quarantena i positivi sono le condizioni posti dal Governo per sbloccare già dalla prossima settimana alcune aziende. Per lei sono sufficienti? O servono altre misure?
“È stato fatto abbastanza per quanto riguarda l’aumento dei posti letto e delle terapie intensive, così come per l’implementazione degli ospedali Covid – dice l’epidemiologo – Ora c’è molto da fare per la medicina del territorio, dai medici di base ai dipartimenti di prevenzione, vanno rafforzate tutte quelle attività che dovrebbero servire ad identificare prontamente focolai nascenti, diagnosticando e isolando i casi, rintracciando e isolando i contatti, facendo tamponi in maniera mirata. Bisogna aumentare la capacità di fare test e ben venga l’innovazione che ci viene a supporto con delle app, per esempio, in grado di complementare il lavoro dell’uomo”.
Dalle aziende ai trasporti, dalla scuola allo sport, fino al tempo libero… C’è bisogno di una riorganizzazione anche rapida del Paese. Vuole fare un appello ai decisori?
“Si potrebbe pensare che alcune attività di tipo ludico-creativo siano meno importanti, anche se smuovono soldi e business, magari ci sono partite Iva che in questo momento non guadagnano nulla. I politici devono porsi questo quesito, ma naturalmente tutto quello che viene fatto dovrebbe essere fatto in sicurezza”.
È ormai nota la sua fede giallorossa, allora parliamo del campionato di calcio…
“Questo è un marchio indelebile – scherza Rezza – Se proprio mi vuole stimolare sull’argomento ripresa del campionato è ovvio che in un periodo di lockdown completo questo non è possibile, ma è anche logico che se la situazione migliora probabilmente si potrebbe anche riaprire qualcosa, naturalmente a porte chiuse, con i dovuti controlli e assicurando tutte le condizioni di sicurezza possibili. Non so se sarà realizzabile, ma non sta comunque a me giudicare”.
Già prima dell’estate?
“Non le so dire, molto dipenderà dalla situazione epidemiologica e da quello che viene ritenuto, e che deve essere ritenuto per forza dalla politica, il ‘rischio accettabile’. Magari per un uomo di sanità pubblica il rischio accettabile è zero e per un economista è 10, dipende dal punto di vista. La politica deve fare una sintesi”.
La maggior parte dei contagi oggi avviene in famiglia e nelle residenze sanitarie assistenziali, come è emerso anche nel corso dell’ultima conferenza stampa dell’ISS. Ma è possibile che ci sia un aspetto ancora misterioso sul periodo di incubazione del virus? Quando ne sapremo di più?
“Non sappiamo tutto di questo virus – risponde Rezza – La maggior parte della trasmissione avviene per contatto abbastanza ravvicinato, quando una persona sta per sviluppare i sintomi lì c’è il picco, dopodiché la positività può restare anche a lungo, oppure magari una persona può negativizzarsi e tornare debolmente positività per un po’, non è detto però che sia contagiosa, perché il picco di contagiosità probabilmente c’è proprio all’inizio dei sintomi. Ci sono molte cose che si apprendono strada facendo, poiché si tratta di un virus nuovo. Dal punto di vista di sanità pubblica si sa che gli ambienti chiusi, in cui i rapporti sono ravvicinati, sono a maggior rischio. Per cui è normale che possano esserlo sia l’ambiente familiare, sia un pronto soccorso ospedaliero, sia una RSA o una RA”.
La cito: “Purtroppo abbiamo iniziato a muoverci quando i buoi erano già scappati dalla stalla”. Allora, quali errori l’Italia non può più permettersi di compiere?
“Non so se sia stato un errore o meno quello di aver diagnosticato la presenza del virus il 20 febbraio, mentre era già in circolazione da un mese. Ci sono molte giustificazioni – dice il Direttore del dipartimento di Malattie Infettive dell’Istituto Superiore di Sanità – La maggior parte delle infezioni possono decorrere in modo asintomatico o paucisintomatico, possono assomigliare ai sintomi di una banale influenza, quindi durante il picco influenzale è molto difficile distinguere il Covid dall’influenza, a meno che non si verifichino casi gravi. Se compare un caso grave in una persona anziana si può pensare che sia un’influenza o una polmonite qualsiasi, poi capita il caso grave in un giovane, come è successo a Codogno intorno alla metà di febbraio, ed ecco lì che scatta la diagnosi. Quindi, ripeto, non so se questo sia stato un errore o meno. La ‘zona rossa’ in 11 comuni del lodigiano è scattata abbastanza velocemente, dopodiché le misure di distanziamento sociale sono state implementate su scala regionale e nazionale, e questo in qualche modo ha risparmiato il Centro-Sud”.
Secondo Rezza una “maggiore preparazione avrebbe potuto sicuramente aiutare ad avere più posti di terapia intensiva e più dispositivi di protezione individuale per gli operatori sanitari – aggiunge – che forse avrebbero avuto bisogno anche di un maggior training sull’uso di questi dispositivi per evitare il rischio di contrarre malattie infettive di tipo respiratorio. Col senno di poi tutto è facile. Ma gran parte d’Europa si è trovata nelle stesse nostre condizioni, così come gli Stati Uniti”.
Ma qualora dovesse esserci una seconda ondata epidemica, l’Italia sarà più preparata?
“Lo spero proprio. Ma per essere più preparati c’è bisogno di investire risorse, e credo che alcune siano state già allocate a questo fine, ma soprattutto bisogna acquisire risorse umane per il controllo del territorio, perché quello che bisognerà fare è prestare grande attenzione all’insorgere di nuovi focolai epidemici, cercando di contenerli precocemente. Perché se non si fa questo – conclude l’esperto – c’è sicuramente il rischio di un riemergere grave del virus”.