Con le cellule estratte dalla cornea di un solo donatore sarà possibile trattare da 300 a 500 pazienti, aumentando la capacità terapeutica delle cornee donate fino a sconfiggere la cecità corneale nel mondo, anche nei Paesi in via di sviluppo. Per il 40% dei pazienti con indicazione al trapianto di cornea sarà possibile tornare a vedere con una semplice iniezione di cellule endoteliali corneali. I risultati ottenuti con il nuovo metodo, che ha già consentito il recupero visivo ottimale in oltre 300 pazienti trattati in Giappone e in El Salvador, hanno aperto la strada alle sperimentazioni in corso negli USA, sotto l’egida dell’FDA che si concluderanno entro il 2022. La prima sperimentazione europea partirà dall’Italia nel 2023 e sarà coordinata dal prof. Vincenzo Sarnicola, Presidente Società Internazionale Cornea, Staminali e Superfice Oculare (SICSSO). Il metodo prevede l’estrazione delle cellule da un donatore, la loro espansione in coltura e poi l’iniezione nel ricevente, con un intervento che richiede appena una decina di minuti e consente un recupero visivo migliore e più rapido rispetto al trapianto classico a tutto spessore quasi azzerando le complicazioni del trapianto. Le nuove prospettive del trapianto di cornea discusse durante il primo congresso nazionale della Società Italiana di Scienze Oftalmologiche (SISO), a Roma dal 19 al 21 maggio
Roma, 20 maggio 2022 – Un’iniezione di cellule endoteliali coltivate in laboratorio al posto del più complesso trapianto di cornea: una scoperta rivoluzionaria già sperimentata con successo in Giappone ed El Salvador e ora in corso negli USA e che nel 2023 approderà in Europa a partire dall’Italia. Per il 40% dei circa 5000 trapianti di cornea che ogni anno vengono eseguiti in Italia basterà un’iniezione di cellule endoteliali corneali.
Estratte da una ‘cornea donata’ e poi fatte crescere in coltura, consentiranno di trattare fino a 500 pazienti: da un solo donatore si cureranno tanti pazienti affetti da malattie dell’endotelio corneale (lo strato interno) e che rappresentano il 40/50% delle malattie corneali. Non più un complesso intervento di trapianto ma una semplice iniezione sarà la soluzione ideale quando la patologia che compromette la vista riguarda soltanto lo strato più profondo della cornea.
Lo rivelano gli esperti nel corso del primo Congresso Nazionale della Società Italiana di Scienze Oftalmologiche (SISO), sottolineando che con questa tecnica si potrà ridurre la necessità di tessuti corneali e soprattutto semplificare l’intervento, per un recupero della vista migliore e più rapido. Il metodo, testato già su centinaia di casi e oggi in sperimentazione negli Stati Uniti per l’approvazione all’uso clinico da parte della Food and Drug Administration, inizierà a breve proprio in Italia l’iter di sperimentazione europeo.
“Padre” del nuovo metodo è stato il chirurgo oftalmologo dell’Università di Kyoto Shigeru Kinoshita, che per primo ha fatto espandere in coltura cellule endoteliali corneali estratte da donatori trattando a oggi 65 pazienti che sono stati seguiti fino a 5 anni. Di recente la sperimentazione si è trasferita per la prima volta al di fuori del Giappone ed Edward Holland, oftalmologo dell’università di Cincinnati negli Stati Uniti, cha trattato in El Salvador 50 pazienti a partire da 2 cornee soltanto.
I risultati di questi studi, pubblicati sul New England Journal of Medicine e su Ophthalmology, hanno dimostrato la fattibilità della strategia e aperto la strada alle attuali sperimentazioni in corso negli Stati Uniti per ottenere l’approvazione della Food and Drug Administration, che si concluderanno entro il 2022. In Europa la tecnica approderà nel 2023 e i primi pazienti saranno trattati nel nostro Paese dal prof. Vincenzo Sarnicola, Membro del consiglio direttivo S.I.S.O. e presidente SICSSO, tra i più grandi esperti al mondo in trapianti di cornea.
“Questo nuovo approccio è rivoluzionario perché semplifica l’intervento, accelera e migliora il recupero visivo, consente di trattare con una sola cornea un numero molto elevato di occhi – spiega Sarnicola – La tecnica è molto semplice perché iniettare le cellule è più facile che dover gestire un tessuto intero: le cellule endoteliali corneali possono essere estratte dai donatori e fatte moltiplicare in coltura, sono semplicemente iniettate nel ricevente dopo aver ‘grattato’ via le cellule malate. In circa il 40% dei casi di cecità corneale che richiede il trapianto, il problema dipende da alterazioni dello strato endoteliale profondo e basta recuperare questo per tornare a vedere: è il caso per esempio della distrofia endoteliale di Fuchs, una malattia ereditaria che compare nella terza età, e la rara cheratopatia bollosa. Quando la patologia riguarda il solo strato endoteliale, intervenire con un trapianto di cellule sarà risolutivo e molto più semplice rispetto al trapianto standard: la procedura per l’iniezione nella camera oculare anteriore durerà pochi minuti, poi il paziente è mantenuto prono per 3 ore durante le quali le cellule endoteliali si riallineano autonomamente nel tessuto. Il recupero visivo sarà rapido e migliore: si tratta di una vera rivoluzione”.
Un ulteriore vantaggio è la possibilità di trattare molti pazienti a partire da una sola cornea di donatore: a oggi si possono trattare fino a 75 occhi con le cellule estratte e propagate da una cornea, ma gli esperti ritengono che si possa arrivare a gestire fino a 300-500 pazienti con un solo tessuto.
“Questo significa che sarà possibile trattare moltissimi pazienti in più rispetto a oggi e soprattutto nei Paesi in via di sviluppo, dove trovare i tessuti corneali necessari non è semplice e gestire i trapianti di cornea standard è altrettanto complesso – osserva Sarnicola – Nel mondo ci sono 13 milioni di persone con cecità bilaterale per patologie della cornea, e nel 40/50% dei casi si tratta di un malfunzionamento dell’endotelio. Mettere a punto una tecnica che consente di curare fino a 300, 500 da una sola cornea di un donatore, e con una semplice iniezione, i ha le potenzialità per aiutare a debellare la cecità corneale in maniera significativa, anche nei Paesi in via di sviluppo per la maggior facilità con cui è possibile spedire cellule anziché tessuti interi”.