Roma, 5 dicembre 2020 – Una Guida diagnostica pensata per “aiutare i medici a orientarsi nella valutazione e nella scelta del test da fare e se farlo. Un aiuto pratico, ma anche teorico, con un occhio all’accuratezza diagnostica e alla scelta dell’esame da eseguire”. Lamberto Reggiani, pediatra della Usl di Imola e membro della Società italiana di pediatria preventiva e sociale (SIPPS), spiega così le caratteristiche della Guida diagnostica per il ‘self help’ ambulatoriale presentata oggi nell’ambito del congresso virtuale Sipps, in programma fino all’8 dicembre.
Nel gruppo di autori della Guida c’è anche Michele Fiore, pediatra della Asl1 Napoli Centro, il quale chiarisce che “lo scopo della Guida è di razionalizzare un argomento ben noto ai pediatri ambulatoriali e di famiglia, che più frequentemente fanno diagnostica ambulatoriale. I contenuti sono organizzati in argomenti per capitoli, per interesse e per specialità”.
La Guida, aggiunge Fiore, “fa parte di una collana di guide pratiche che la SIPPS pubblica ormai da anni, una o due l’anno, su argomenti di interesse specifico per i pediatri generalisti, ambulatoriali. Abbiamo trattato l’immunologia, l’ortopedia, l’oculistica. In questo numero ci siamo voluti concentrare sulla diagnostica ambulatoriale, che è un argomento specifico nel grande campo della diagnostica generale, e che comprende tutti questi test diagnostici, di screening che si possono fare in ambulatorio e che sono considerati una sorta di estensione dell’esame clinico obiettivo”.
Che cos’è il ‘self help’ ambulatoriale? “La definizione – spiega Lamberto Reggiani – è stata inventata tanti anni fa dalla rivista ‘Medico e bambino’, molto diffusa tra i pediatri, e si riferiva a tutto quello che si poteva fare in ambulatorio, quel qualcosa in più che potesse aiutare a fare le diagnosi, cioè test, uso di strumenti. In realtà – tiene a precisare – il termine corretto è ‘point of care’. Nel nostro caso, il point of care è l’ambulatorio del pediatra che ha a disposizione un ventaglio molto ampio di test: da poche gocce di sangue a materiale biologico di altro tipo”.
“L’ambulatorio diventa così un centro diagnostico con potenzialità molto alte – ribadisce l’esperto – che vanno da una valutazione generica di gravità, facendo un emocromo o un’analisi della proteina C reattiva, fino a una definizione diagnostica specifica per esempio di infezioni come mononucleosi, tonsillite da streptococco, bronchiolite. Potenzialità diagnostiche che però non vanno sempre bene per tutto. La Guida vuole proprio essere un aiuto ai pediatri per orientarsi nella valutazione e nella scelta”.
Quali vantaggi porta, in termini di accuratezza diagnostica, la possibilità per i pediatri di effettuare numerosi test di screening direttamente in ambulatorio? “Riguardo al test della proteina C reattiva si è visto – spiega Reggiani – in uno studio realizzato dalla Regione Lombardia, che le prescrizioni di antibiotici sono diminuite da parte dei pediatri che lo hanno effettuato. Lo stesso per il test per la ricerca dello streptococco nelle tonsilliti, che permette di decidere se dare o meno l’antibiotico e che è stato inserito nelle Linee guida nazionali, e non solo, come test discriminante che ha una rilevanza diagnostica importante e consente di decidere il proprio comportamento medico”.
Aumentare la capacità di screening e quindi diagnostica del pediatra consente di rafforzare l’approccio ‘di iniziativa’ nella pratica medica rispetto a quello ‘di attesa’. “Quando nel 1978 è stato istituito il Servizio Sanitario Nazionale – ricorda – la sanità era una sanità di attesa. In quell’anno è stato assegnato un medico a ogni cittadino e un pediatra a ogni bambino. Il sistema venne però impostato sulla base delle conoscenze medico-scientifico allora a disposizione, per cui il medico/pediatra attendeva che il paziente lo contattasse per un problema e si prendeva cura di quella specifica malattia, patologia. Intorno al 1995, poi, è stato realizzato il progetto ‘Salute infanzia’ che prevedeva nelle sue azioni fondanti e fondamentali che il pediatra non attendesse più di essere chiamato in caso di un sintomo. Al contrario, il pediatra opera all’interno di un sistema di visite filtro ad età preordinate, i cosiddetti ‘bilanci di salute’, e di alcuni test di screening a determinate età, che sono stati inseriti ufficialmente nei programmi di salute della valutazione dello sviluppo neuro-psico-motorio del bambino. Tutte azioni – precisa Reggiani – che ci permettano di intercettare un problema di salute prima che diventi davvero un problema”.
La Guida diagnostica arriva in una congiuntura particolarmente azzeccata perché, spiega Lamberto Reggiani, “nel mese di ottobre è stato firmato il contratto collettivo nazionale nel quale viene sancito un investimento, destinato a tutti i pediatri ambulatoriali e di famiglia, per l’acquisto di test e strumenti utili per il point of care. C’è dunque un interesse, una volontà da parte del Governo – conclude – di stimolare i pediatri e i medici di famiglia a indirizzare le loro energie nell’implementazione dei loro ambulatori”.